mercoledì 20 aprile 2016

Manzoni e la Chiesa: gli anni difficili


Saggio pubblicato nel numero monografico della rivista “L’Arengo” del Centro Studi di Italianistica di Taranto, diretto da Paolo De Stefano.
Nella stessa monografia ci sono saggi di Walter Tommasino, Ruggiero Stefanelli, Aldo Luisi, Paolo De Stefano, Domenico Lassandro, Romano Colizzi, Antonio Liuzzi, Riccardo Pagano, Vittorio Basile, Luigi Scorrano, José Minervini, Titina Laserra, Raffaele De Tommaso, Egidia La Neve, Alberto Altamura, Elisa Tinelli e Stefania Danese.


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Le pagine immortali di Alessandro Manzoni conquistano anche Francesco, il primo gesuita divenuto Papa, il quale confessa di avere, tra le sue amate letture, la più nota opera dell’autore lombardo. A questi il successore di San Pietro si sente debitore per quanto ricevuto nel suo cammino di formazione e per la possibilità di mantenere vivo il grato ricordo della carissima nonna, che gli insegnò, tra l’altro, a ripetere a memoria l’incipit del libro:

«Ho letto il libro I Promessi Sposi tre volte e ce l’ho adesso sul tavolo per rileggerlo. Manzoni mi ha dato tanto. Mia nonna, quand’ero bambino, mi ha insegnato a memoria l’inizio di questo libro: “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti…”»1.

Con la Chiesa, in particolare con i gesuiti del suo tempo, il Manzoni, però, non ha avuto un rapporto facile, agevole. Infatti, "La Civiltà Cattolica", l’autorevole rivista, nata a Napoli nel 1850 - sempre curata dai confratelli della Compagnia di Gesù e sempre attenta a riflettere l’ortodossia interpretata dai cattolici zelanti, la voce del Magistero della Chiesa e del soglio pontificio - interviene ripetutamente sul Manzoni, sul quale i giudizi sono maggiormente influenzati, nell’ultima metà dell’Ottocento, dalle sue non condivise scelte politiche.
Il cattolico Manzoni, nella cui opera si ritrova - accanto a quella che Arturo Carlo Jemolo definisce «una venatura giansenista»2 - una salda concezione della fede cattolica, con il decisivo influsso della prospettiva filosofica di Antonio Rosmini, è convinto della distinzione tra potere temporale e potere spirituale, tra trono e altare, tra Stato e Chiesa, con un Papa che sia «re delle preci»3. Non condivide la concezione della religione come instrumentum regni e crede in un cristianesimo non teocratico e scevro dal potere. «Non possiamo nasconderci - scrive Luciano Malusa - che Manzoni, che vedeva nel cattolicesimo una forza reale per creare una coscienza in grado di rendere meno irrazionale la storia, non s’illudesse mai sulla capacità di esso nel modificare le condizioni politiche del nostro paese»4. Manzoni aspira ad un Paese non più occupato dallo straniero, ma unito, vuole l’Italia libera, perché «liberi non sarem se non siam uno»5, non più divisa, che sia «Una d’arme, di lingua, d’altare, / Di memorie, di sangue e di cor»6.
Nel 1848 rifiuta l’elezione alla Camera dei deputati nel collegio di Arona; non ama la politica che è compromesso tra "il desiderabile" e "il riuscibile"; si ritiene "un utopista" anche perché, in politica, «il fattibile le più volte non mi piace»7. Manzoni accetta da Vittorio Emanuele II, nell’agosto 1859, annessa la Lombardia alla corona sabauda, la nomina di presidente perpetuo dell’Istituto di scienze, lettere e arti e il vitalizio annuo di dodicimila lire;  riceve la nomina di senatore il 28 febbraio 1860;  dà il suo voto per la proclamazione del Regno d’Italia e successivamente - nonostante l’inutile invito di Massimo D’Azeglio, capo del partito cattolico  moderato, a non andare a Torino per partecipare, con la maggioranza liberale, alla votazione - a favore del trasferimento della capitale da Torino a Firenze8, come premessa alla successiva scelta di Roma capitale dell’Italia unita, di cui è convinto sostenitore già nel 1815 nel giovanile Trionfo della libertà, avendo fiducia di poter andare a Roma «con il pieno consenso della coscienza cattolica». Due anni dopo la presa di Roma e un anno prima della morte, nel luglio 1872, nonostante sia già provato da «un lungo tempo di aspre disapprovazioni e di polemiche»9, accetta la cittadinanza onoraria della capitale d’Italia, già capitale dello Stato Pontificio, contrariando decisamente gli ambienti cattolici tradizionalisti e retrivi che lo accusano di essere un cattivo credente, essendo, al contrario, il Manzoni profondamente convinto di poter essere, nello stesso tempo, un buon cattolico e un buon italiano.

I rapporti tra Manzoni e la Chiesa nell’Ottocento, di cui qui ci si occupa, riflettono il particolare momento storico e - con la crisi e la caduta del governo Ricasoli e con il successivo insediamento del governo Rattazzi della sinistra storica, nel marzo del 1862 – registrano un deterioramento da far sembrare già lontani gli apprezzamenti con cui, nel 1851, a proposito del "Dialogo dell’Invenzione", dove è chiara l’impronta rosminiana, Manzoni – prima dell’accettazione della nomina a senatore del regno d’Italia, è lodato quale «lucida penna», che libera la metafisica da «quella caligine che tanti atterrisce, [che] invita gli italiani alle filosofiche meditazioni, dimostrando quanto sia in esse di reale e di grande», a cui si rivolge l’accorato appello: «Oh se egli tornasse molte volte all’assalto per isgombrare finalmente dalle menti de’ suoi concittadini l’orrore …, qual nuovo servigio avrebbe egli reso alla patria nostra cui diede già verso il bene tanti e sì nobili impulsi!»10Nel 1858, Milano fa ancora parte del Regno Lombardo-Veneto e non ha ancora avuto luogo la seconda guerra d’indipendenza conclusa con l’armistizio di Villafranca (11-12 luglio 1859) con cui la Lombardia viene girata dalla Francia al Regno di Sardegna. La celebrità del Manzoni porta il mondo cattolico a preoccuparsi per una sua infermità e la rivista dei gesuiti ne è pronta interprete:

«L'illustre e veramente chiarissimo Alessandro Manzoni, i cui insigni meriti come cristiano e letterato niuno italiano può ignorare, ebbe non ha guari nella sua patria, anzi nell' intiera Italia, una di quelle spontanee e veraci dimostrazioni di stima e di affetto che a pochi è dato di meritare. Giacché caduto pericolosamente infermo e poi, grazie a Dio, risanato si fecero pubbliche preghiere e tridui di ringraziamenti in molte città d'Italia. Tutti i giornali poi davano con premura notizie di sua salute ai loro lettori. L'Arciduca Massimiliano essendo in Venezia mandò in suo nome un consigliere a far visita all' illustre infermo; e venuto a Milano andò egli stesso a visitarlo, per compiere o, meglio, per coronare gli atti della sua cortesia»11.

   "La Civiltà Cattolica" parla subito dopo de I Promessi Sposi come opera di apostolato, loda l’arte dell’autore nel contrapporre le figure di don Abbondio e di fra Cristoforo, due personaggi che interpretano, secondo Italo Calvino, il falso potere spirituale e il potere spirituale vero, la buona e la cattiva Chiesa12.

«Il contrapporre continuamente ad un personaggio grottesco un personaggio esemplare, all'indolenza di un don Abbondio lo zelo di un fra Cristoforo, ai torbidi risentimenti del tumulto le prudenti rimostranze della giustizia, ai disordini di una vocazione violentata l'eroismo di una vocazione corrisposta, è arte efficacissima ad ottenere il bene, ma arte insieme difficilissima che incoronò il Manzoni di un alloro non tocco e trasformò il suo romanzo in un apostolato»13.

  Con gli inizi degli anni Sessanta, con i cambiamenti politici e territoriali nella penisola italiana, la Chiesa interviene più volte per condannare l’ideologia e la politica dei liberali, che vantano ora l’appartenenza nel loro schieramento parlamentare del Manzoni, a cui la rivista fa presente le conseguenze di una sua condivisione:

«Noi non sappiamo se il Manzoni partecipi alle vostre idee. Ma se così fosse non esitiamo a dire che egli, invece di difendere voi, condannerebbe se stesso»14.

Ripetutamente la rivista interviene a proposito delle deprecate scelte politiche del Manzoni, definito a volte il "senatore conciliativo"15 e il "senatore garibaldino"16 per aver ricevuto, nel pomeriggio del 25 marzo 1862, nella sua casa di via Morone di Milano, il massone e anticlericale Giuseppe Garibaldi, scambiandosi omaggi e attestazioni di reciproca ammirazione.
Dare del garibaldino al Manzoni significa riconoscergli, con implicita transitività, tutte le qualità dell’eroe dei due mondi. Per meglio comprendere l’imbarazzante sconcerto per tale risonante incontro nelle più alte gerarchie della Chiesa, basti qui ricordare che Garibaldi è l’uomo «dalla mano sanguinosa»17«1'araldo che imbocca la tromba ad ogni poco, per sollevare le plebi contro la Chiesa di Gesù Cristo»18. Garibaldi è l’acerrimo nemico della Chiesa, non solo perché un massone e un "senzadio", «invasato di tal furore diabolico verso i preti»19, ma in quanto è sempre pronto «con animo fellone ad intimar guerra a Pio IX»20 e perché «nega poi di riconoscere per Italiani quanti, guidati da coscienza cristiana, combattono per la legittimità del diritto e per la santità della Religione»21.  
 Non a caso, più volte, Pio IX, che nel 1868 decide per il non expedit dei cattolici alle elezioni e alla vita politica, interviene proprio contro i cattolici liberali, una peste perniciosissima, che «fanno, è vero, professione d’amore e rispetto per la Chiesa, ma si sforzano nondimeno di pervertirne le dottrine e lo spirito»22.

"La Civiltà Cattolica", roccaforte dell’intransigentismo cattolico, non crede sia possibile realizzare di fatto e positivamente l’unità d’Italia con l’occupazione e l’annessione dello Stato Pontificio al Regno d’Italia con Roma capitale, citando proprio I Promessi Sposi per dimostrare le infauste conseguenze dell’irrimediabile rivalità fra le varie parti dell’Italia che, come i capponi di Renzo, saranno legate per le zampe e tenute a capo all’ingiù, pronte a beccarsi reciprocamente.

«Per intenderne bene il senso conviene premettere quello che del resto non è nuovo a sapersi, cioè che la così detta unità d' Italia è un mito, un apologo, un modo di dire, che in realtà non esiste né può esistere. L'unità d'Italia si può trovare dipinta al vivo nei Promessi Sposi, dove essa è rappresentala in quelle galline che Renzo portò in regalo all'avvocato Azzeccagarbugli. «Agnese (narra il Manzoni, che come futuro Senatore del Regno dovette forse avere qui un po’ di preveggenza politica) Agnese levò a una a una le povere bestie dalla stia, riunì le loro otto gambe come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago e le consegnò in mano a Renzo». Cosi furono prese le povere varie parti d'Italia; cosi furono riunite per le zampe come se si facesse un mazzetto di fiori; cosi furono avvolte e strette collo spago piemontese. Segue opportunamente il Manzoni dicendo: «Lascio pensare al lettore come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie cosi legate e tenute per le zampe a capo all'ingiù, le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi 1'una con 1'allra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.
II Manzoni Senatore del Regno capirà meglio di noi quanto bene egli abbia qui profetato dell'unità d'Italia. Pare proprio vederle quelle povere Capitali, Napoli, Firenze, Milano, Modena, Parma, legate col capo all' ingiù beccarsi 1'una con 1'altra, come accade tra compagni di sventura». E certo se a quelle povere bestie o Capitali si sciogliesse lo spago che le lega per le zampe, e sicurissimo che ognuna fuggirebbe chi qua chi là. Ma il vincolo dello spago piemontese finora le riunì e strinse bellamente come un mazzo di fiori»23.

Sempre la rivista della Compagnia di Gesù interviene nel dibattito sulla questione della lingua, per la quale il Manzoni è incaricato dal ministro della Pubblica Istruzione, Emilio Broglio24, «di proporre tutti i provvedimenti e i modi, co' quali si possa aiutare e rendere più universale in tutti i diversi ordini del popolo la notizia della buona lingua e della buona pronunzia». Nella relazione che il Manzoni invia al ministro, pubblicata nella rivista fiorentina "Nuova Antologia" e in quella milanese "Perseveranza", si propone di adottare il fiorentino vivo e non vernacolare, che i gran parte era già stato reso comune dalla lingua letteraria, per sostituire ai vari dialetti una lingua unitaria che ne faccia le funzioni.  

"La Civiltà Cattolica" critica duramente la relazione del Manzoni:

«Se non che, ci duole dirlo, la Relazione di tanto illustre scrittore e sì autorevole critico, non ci pare che abbia punto risposto alle speranze, che a buon diritto si erano in lui collocate. Anzi, se ci è lecito di dire tutto intero e senza velame il nostro pensiero, ci sembra che questa Relazione per l'una parte scambia la quistione pratica, proposta dal Ministro, per maniera che ne rende la soluzione, di facile che era, moralmente impossibile; e per l'altra stabilisce la quistione teoretica sopra dottrine poco ragionevoli, ed anche pregiudiziali al fine che si pretende. Ci auguriamo che il buon desiderio, il quale anima anche noi, di conferire ai vantaggi della lingua comune, ci debba valer di scusa, se osiamo opporci all'autorità di tant' uomo. Perocché quanto maggiore è la stima che meritamente si ha di lui nell' Italia, tanto in questo caso noi crediamo maggiore il pericolo, che le opinioni propugnate da lui creano alla lingua»25.

Secondo il quindicinale gesuita, Manzoni non affronta la richiesta specifica del ministro, il cui testo è finemente analizzato, che pone al Manzoni una questione pratica (quali provvedimenti e modi) per rendere più universale la conoscenza della buona lingua e non una questione teorica per stabilire quale debba essere la nuova lingua. «Laonde il Ministro, rivolgendosi a quella sommità che è Alessandro Manzoni, non gli addimandava la soluzione generica del problema; ma i provvedimenti speciali, i modi determinati, pe’ quali il problema, nel risolversi praticamente, potesse avere i migliori risultamenti possibili»26. Il Manzoni avrebbe perseguito, pertanto, un intendimento diverso da quello formulato dal ministro della P.I., non considerando «che sopra la quistione, se vi avesse nell'Italia una lingua comune, e quale fosse, non v'è stato giammai dissenso sostanziale, e molto meno vi è ora»27. Al Manzoni non si risparmia l’amara ironia nella conclusione dell’articolo de "La Civiltà Cattolica", secondo cui «È antico adagio, che i grandi uomini, se mai trascorrono in un errore, non lo sogliano fare nella misura de' mediocri»28. Subito dopo, il 26 maggio 1868, con una lettera al ministro della P.I., Manzoni si dimette ufficialmente dalla presidenza della commissione «per l’insufficienza delle sue forze e intellettuali e fisiche alla continuazione del lavoro»29, pur ammettendo, con una missiva riservata allo stesso Broglio, le divergenze insanabili con il gruppo di Firenze.

Nel 1873, anno della morte del Manzoni, Roma è già parte del Regno d’Italia, lo Stato Pontificio non esiste più, Pio IX si considera prigioniero in Vaticano. "La Civiltà Cattolica", in un breve passaggio di una sua rubrica, in cui riferisce dei lavori della Camera dei deputati, si limita a ricordare, con accento glaciale, che il

«testé defunto sarà più celebre pel suo Padre cappuccino Fra Cristoforo, che non per il titolo di Senatore italiano o per gli omaggi resi alla ciurma garibaldina»30.

Sembrano così lontani i giorni del 1858, in cui, nelle chiese italiane, si elevavano pubbliche preghiere e si svolgevano tridui per la salute del Manzoni! "L’Osservatore Cattolico", giornale conservatore di Milano, diretto da don Davide Albertario, vicinissimo alle posizioni delle gerarchie ecclesiastiche, ricorda, con pietà cristiana, il defunto «come uomo buono, anche pio, e nei suoi traviamenti più illuso che colpevole».
 C’è chi, come Giovanni Spadolini, parla di "riserve e cattiverie"31 a proposito di quanto scritto dall’autorevole rivista, sull’appena deceduto Manzoni, proprio nei giorni in cui, nella Camera dei deputati, il governo liberale guidato da Giovanni Lanza è impegnato a sostenere l’approvazione della legge sull’abolizione degli Ordini religiosi e di conversione dei beni di tutti gli enti ecclesiastici di Roma e della sua provincia.
Nel fascicolo successivo, "La Civiltà Cattolica" interviene ancora per sostenere che le idee liberali del Manzoni, di cui c’è da avere nessun vanto, non hanno alcuna incisività nelle scelte compiute in parlamento dalla maggioranza anticlericale.

«Tutto ciò che si è fatto in Italia da’ liberali, si sarebbe fatto senza il Manzoni: il quale ebbe però presso i liberali il merito di avere approvato tutto, il garibaldesco, 1'antigaribaldesco, il dinastico e 1'antidinastico, il male, il mediocre ed il pessimo, senza niente di quel buon gusto che in letteratura non gli si può negare»32.

Né i liberali, secondo la Civiltà Cattolica, dimostrano di essere particolarmente affranti per la morte del Manzoni, sfruttato, e quindi non più utile, per quanto già dato a loro vantaggio. Infatti, «essi aveano ormai spremuto tutto quel poco o nulla, che egli poté dare in loro privato servigio»33. Più che portare benefici alla causa liberale, Manzoni, sempre per la rivista dei gesuiti, nuoce soprattutto a se stesso, alla sua intelligenza e alla sua onorabilità, in quanto «col liberalismo non ha altri meriti effettivi che quei suoi atti privati e personali, coi quali fece più torto alla sua fama di uomo pratico ed intelligente della politica, che non vantaggio alla causa liberale»34.
    Il disprezzo per Manzoni non risparmia neppure le qualità letterarie e culturali e di lui si rileva «che, difatti non fece, né certamente farà altra scuola, né in prosa né in poesia, che di volgari»35 e «il Manzoni, lavorando assai, scrisse, in proporzione degli anni e dello studio, pochissimo: e non tutto bene: e poi si fermò quasi stanco e sfiduciato»36.
 
La firma di Alessandro Manzoni
Altro di significativo non si dice in occasione della morte del Manzoni, a cui il potere ecclesiastico del tempo non perdona assolutamente le scelte politiche, tenendo conto che i cattolici liberali non sono particolarmente graditi né ai cattolici e né ai liberali, in quanto costituiscono  - per i primi - gli inquinatori dell’ortodossia con l’apertura alla modernità degli ideali civili e alle novità della scienza, mentre - per i secondi - sono il virus di un anacronistico passato di credenze da cui liberarsi per non alterare irrimediabilmente il proprio patrimonio ideale, il progresso sociale e i cambiamenti che si prefigurano con il nuovo secolo.
 La Camera dei deputati, con la sua maggioranza liberale, appresa la morte del Manzoni con un telegramma da Milano del sindaco Giulio Belinzaghi, ricorda, con le parole del presidente dell’assemblea Giuseppe Biancheri - senza alcun riferimento alla sua gloria letteraria, tanto meno alla sua convinta fede religiosa - il «più grande cultore dell’unità d’Italia», a cui, non rivolgendo alcuna espressione di cordoglio cristiano, viene strettamente legata e limitata la sua virtuosa eredità.

«Con Alessandro Manzoni l'Italia ha perduto una grande sua gloria, il più grande cultore della sua unità nazionale, l'esempio più elevato e più raro delle più rare e più elevate virtù; ma non sarà mai perduto il sublime retaggio ch'Egli ha lasciato alla sua patria, non sarà mai offuscato lo splendore del suo nome, e il culto di ammirazione che lascia in ogni cuore italiano non sarà mai spento sinché vive l'Italia»37.

Alla rivista della Compagnia di Gesù non possono sfuggire le omissioni nella commemorazione laicista nella Camera dei deputati; inizia a distinguere, molto cautamente, i suoi giudizi sul Manzoni liberale e sul Manzoni cattolico e ad altalenarli a quelli sul Manzoni letterato:

«I liberali ne celebrano i meriti sotto il riguardo del liberalismo; i cattolici pregheranno di cuore per lui, che certamente fu di sensi cristiani, ben costumato come si conviene ad un cattolico, e seppe con singolari pregi, qual letterato, congiungere al dilettevole l’onesto nelle sue scritture»38.

Ai tentativi dei liberali di fare del Manzoni un loro campione non solo nel campo della politica, ma anche in quello della letteratura, risponde "La Civiltà Cattolica":

«Dicono del Manzoni che, nelle sue prose e ne’ suoi versi, e specialmente nel suo Romanzo, abbia sparse varie idee liberali. Questo è vero. Ma non credo che vi sia un solo italiano che sia divenuto liberale in grazia delle prose e delle poesie del Manzoni. Chi era già liberale, godeva nel vedere quei semi nascosti. Chi non lo era, neanche se n’accorgeva. E, se si tira il conto, si vedrà che molte più sono nel Manzoni le idee cristiane che liberali. Il che si prova anche dal fatto certissimo ed incontrastabile che, mai e neanche adesso, non vi è, né vi fu, né, credo io, vi sarà o padre o maestro, per quanto nemico del liberalismo, il quale tenta di corrompere un figliuolo o uno scolaro col dargli a leggere le scritture del Manzoni. Perciò io chiamo smorfie ed esagerazioni affrettate tutte queste lagrime liberali sopra la morte del Manzoni … è chiaro che il liberalismo spera guadagnar egli qualche cosa coll’avocare a sé, e quasi impadronirsi, del Manzoni che non è suo, senonché in minima parte»39.

Nello stesso numero della rivista si alterna qualche apprezzamento alle ancora dure critiche al Manzoni, «entrato nel ristrettissimo novero di quegli scrittori che, se non in tutte, almeno nell’una o nell’altra delle loro opere, sono e saranno sempre letti»40. Subito si aggiunge che non si può non dire «che I Promessi sposi manchino de’ loro, e non sempre leggeri, difetti»41 e che «il rimanente delle opere del Manzoni è appunto come il resto delle opere degli altri classici: dei quali nessuno si terrà mai obbligato in coscienza a leggere ed ammirare tutto»42.
È pesante la riprovazione delle opere minori, su cui si sentenzia che «non è probabile che assurgano mai alla fama cui non assorsero finora»43.
La stessa rivista della Compagnia di Gesù ricorda che padre Luigi Taparelli d’Azeglio s.j. già aveva notato, nel Discorso sopra il Romanzo, «l’equivoco del Manzoni, il quale suppose che nel Romanzo storico si cerchi di imparare la storia: laddove esso è invece destinato a formar, dilettando, l’educazione del cuore», rilevando che in tale opera «manca la vera profondità della filosofia»44.
La stroncatura del Manzoni continua impietosa: «Lo sappiamo ... che il Manzoni da giovane era cattivo scrittore e cattivo cristiano. … Ma siccome, grazie a Dio, è più facile convertirsi alla buona fede che alla buona lingua, così non è da stupire che nella Morale cattolica … apparisca però ancora molto di quella maniera francese, che è anzi meraviglia che non si veda più chiara e spiccata. Quanto alla sostanza, il libro non supera la ordinaria mediocrità, benché sia sempre esatto e perspicuo»45.
Insiste la rivista nella sua condanna nel liberalismo che «non è un è un sistema politico; è un sistema antireligioso. Chi, mantenendosi religioso, intende però talora dei fini politici voluti dai liberali, si potrà chiamare illuso, utopista, matto anche se volete: ma liberale no: giacché il liberalismo consiste essenzialmente nell’antireligione». Purtroppo, per "La Civiltà Cattolica", «Il Manzoni - si rileva con accento di forte rimprovero - invece disse troppi sì alla signora rivoluzione»46.

La Chiesa, pur non risparmiando ancora alcune aspre critiche, si impegna a sostenere e a far primeggiare l’appartenenza, l’identità culturale e la sua cristallina morale di chiara matrice cattolica per ribattere ai tentativi dei liberali di appropriarsene politicamente con strumentalizzazioni capziose o, quanto meno, di infangarne la memoria. A don Lisander

«non bastò l’aver cantata e praticata la fede e la morale cattolica, per isfuggire all’insulto di vedersi camuffato da questi sempre falsi e bugiardi liberali, in paterino ed in libertino: colpa qualche scorso, più o meno leggero, di penna e di vita, a cui soltanto, in mezzo a tanta dovizia di purissima gloria, questi scarafaggi liberaleschi amano rivolgere la loro attenzione»47.

La Chiesa insiste, anche negli anni Ottanta, contro il liberalismo, la sua sterilità, che non può generare il genio del Manzoni, e condanna implicitamente l’affacciarsi della «falsa scienza»48 del darwinismo, di cui il senatore liberale Paolo Mantegazza è divulgatore in Italia.

«II liberalismo non ha la virtù di moralizzare; ha quella soltanto di pervertire. Dal suo grembo escono i Mantegazza, ma non possono uscire i Manzoni. Sperare che l’iniziativa sua guarisca moralmente la nazione, è come sperare che un cadavere putrefatto ravvivi un morto»49.

Non mancano disapprovazioni in altri ambienti del mondo cattolico per il romanzo del Manzoni. Infatti, San Giovanni Bosco (1815-1888), che stima l’autore e la sua opera, intervenendo certamente non come critico letterario, rivolge un severo e spropositato rimprovero:

«La stima che abbiamo per quest’opera non ci tratterrà tuttavia dal biasimare altamente il ritratto che ci porge di Don Abbondio e quello della sgraziata Gertrude. Il Manzoni, che voleva dare all’Italia un libro veramente morale ed inspirato da sentimento cattolico, poteva, certo, presentarci migliori caratteri; gli stessi romanzieri d’oltr’Alpe ben altra idea ci porgono generalmente del parroco cattolico. Il giovane poi, che fin da’ suoi primi anni ha imparato, coll’amore ai genitori, la venerazione al proprio parroco, dovrà necessariamente ricevere cattiva impressione nella mente e nel cuore dopo siffatta lettura»50.  

Dopo più di un decennio dalla morte del Manzoni, "La Civiltà Cattolica" continua con alterni e ambivalenti giudizi sulla sua opera letterariaNe I Promessi Sposi, rilevando che il romanzo è «il genere di letteratura che palesa più d'ogni altro il decadimento lagrimevole del pensiero italiano»51, riconosce che, nello specifico genere, è sì il solo romanzo che onora la letteratura italiana, ma è «difettoso nella lingua e nello stile»52. In precedenza, de I Promessi Sposi si scrive che «toccano la perfezione»53, le altre scritture «partecipano della mediocrità», mentre «media … incede la Morale Cattolica, che per il merito morale è la più perfetta, e per letterario la più imperfetta delle opere di quel grande scrittore»54.
"La Civiltà Cattolica", solo in presenza di smisurati attacchi alla cultura e alla morale cattolica del Manzoni, inizia a rilevarne i meriti, respingendo l’avanzata di quelle correnti letterarie antiromantiche, che trovano nel positivismo il loro riferimento ispiratore, e di quell’anticlericalismo massonico, che vede in Giosuè Carducci, «idrofobo cantore e vate da lupi»55, il più autorevole rappresentante. Lo stesso Nobel, «nato di padre manzoniano»56, confessa, in occasione della morte del Manzoni, d’essere "non manzoniano" per ragioni più psicologiche che letterarie, avendo nutrito nell’età giovanile «un odio catilinario»57 verso le opere del Grande Lombardo, essendo stato costretto dal genitore prima e dai padri Scolopi poi ad imparare a memoria rispettivamente le Osservazioni sulla morale cattolica e gli Inni Sacri.
       In un’articolata riflessione sul Romanticismo, "La Civiltà Cattolica" esamina criticamente le opere del Manzoni con una serie di giudizi solidamente argomentati e riveduti, solo con qualche punta di asperità, rispetto ai precedenti ben più severi, pubblicati nei giorni successivi alla morte del Grande Lombardo.
Si riconosce all’autore di aver dato negli Inni sacri quella «freschezza di colorito e di vita a soggetti mille volte trattati; e colla semplice maestà delle immagini e l'onda sempre piena e sonora del verso ha saputo trascinare gli animi dei lettori in modo che certe imperfezioni di lingua e di stile restano inavvertite, o per lo meno perdonabili»58.
In particolare, con il 5 maggio, Manzoni

fu degno di sciogliere il cantico, che coi nomi di Marengo e d'Austerlitz eternerà il nome del grande conquistatore. Non mancano anche in questo componimento difetti di stile, come la spoglia immemorel’orma che calpesta la polvereil sovvenir che l'assalse e simili; come non è vero che tutta la terra restasse attonita e molto meno come cadavere alla nuova della morte dell'eroe; ma chi cerca nella piramide di granito una screpolatura? II Cinque Maggio gettando la sua luce sugli Inni, sino allora poco letti, fu 1'aurora di quella gloria che per oltre mezzo secolo circondò la vita del poeta59.

Le tragedie Il Conte di Carmagnola e l’Adelchi, che hanno un chiaro proposito politico, «appartengono - secondo "La Civiltà Cattolica" - più veramente alla lirica che alla drammatica, non tanto per la bellezza dei Cori, che ne sono il vanto principale, quanto per la scarsità dell'azione e l’abbondanza del sentimento»60. A chi rimprovera il Manzoni per l’eccessivo e depauperante rispetto del fatto storico nella tragedia, la rivista rileva che proprio «questo tentativo di levare la storia allo stato di tragedia è la grande novità del Manzoni, e non già l’infrazione delle unità drammatiche»61, perché il fine della tragedia per il Manzoni è quello di consentire al popolo di conoscere la storia e non la leggenda e proprio nei cori «tutti gl’Italiani ammirano ancora quella lirica magnificenza che sgorga dal pieno della verità storica»62.
I Promessi Sposi, la più nota opera che, illuminata dalla fede, esalta l’unione del vero storico e del vero poetico, vanno oltre la mera verità positiva della ricerca storica e offrono «del seicento e della dominazione spagnuola un concetto più pieno e più chiaro che non avrebbe dalla lettura della storia di quel tempo, perché la storia lascia molte lacune specialmente intorno alle costumanze della vita privata; il romanzo invece le riempie e lungi dall'annoiare con aridi racconti, ricrea la mente coi fiori della fantasia, e la grazia delle descrizioni»63.
Le Osservazioni sulla Morale cattolica - scritte in risposta alle accuse di oscurantismo avanzate alla religione cattolica dal ginevrino Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi, secondo il quale «dans la moderne Italie, la religion, loin de servir d'appui à la morale, en a perverti les principes»64 - ora, in evidente contraddizione con quanto scritto nel 1873, «rivelano la mente filosofica e religiosa»65  del Manzoni ed «è non solo difesa della sua religione, ma della sua patria, perché tutta la nazione italiana, che si gloria di essere cattolica, restava denigrata dalle calunnie dello storico calvinista»66.
Del Manzoni ora si apprezzano, nella sua innovativa grandezza letteraria, le doti ferree di chi sa evitare gli eccessi, di chi conosce la giusta misura, di chi sa mantenere l’appropriato equilibrio. Infatti, egli «è il più grande ed originale dei moderni scrittori che inaugurarono la nuova scuola letteraria. Fu egli che diede un novello indirizzo alla nostra letteratura. Il suo merito principale o la originalità sua consiste in quell'arte sapiente che nella moderazione trova la forza»67. Lo stesso Romanticismo del Manzoni, ricordando la famosa lettera di questi a Cesare D’Azeglio,  non è un «guazzabuglio d'idee, d'immaginazioni di sentimenti»68, né è da confondere con il classicismo convenzionale e di maniera, in quanto, secondo la rivista della Compagnia di Gesù, è da stimare per «la naturalezza, la spontaneità, la popolarità nell'invenzione, nella espressione, nello stile, e 1'aborrimento dalle frasi fatte e dalle superfluità di parole, di descrizioni, di adornamenti, 1'abolizione nella letteratura delle idolatrie mitologiche, la preferenza costantemente data al vero sul finto, alla realtà vivente e cristiana sul maraviglioso degli dei e degli eroi sepolti tra i ruderi del paganesimo, la direzione dell'arte a qualcosa di più alto dell'arte e ad una qualche utilità morale del prossimo»69.

Nel sostenere l’idea dell’arte, fondata sul vero, che non si appaga del bello per il bello, ma mira decisamente al conseguimento del bene nella maggiore misura, indica, nella più importante opera del Grande Lombardo, l’esempio positivo per vincere «la congiura di diffamatori del bello artistico, vero, morale, casto, umano ed anche, se vuolsi, cristiano»70:

«Alessandro Manzoni, più che cogli aridi precetti, insegnò quel che sia arte vera, grande, nobilissima, immortale col fatto dei Promessi Sposi, romanzo storico unico, non superato da alcun altro, non facilmente superabile, e diciamo per la sostanza stessa dell'opera non per la lingua e lo stile, che non sono sempre, come tutti sanno, inappuntabili. Nei Promessi Sposi il Manzoni trattò 1'amore. … così castigato e santo, che può senza verun pericolo leggersi anche dalla più pura fanciulla e da una Suora»71.

Ormai al tramonto del secolo e degli anni difficili con la gerarchia ecclesiastica, il Manzoni liberale è sullo sfondo e il suo patriottismo risorgimentale è sempre più un pallido e sbiadito ricordo, consolidandosi ulteriormente, accanto all’intransigentismo, la voce del transigentismo cattolico. Il Manzoni de I Promessi Sposi, degli Inni Sacri e delle Osservazioni sulla Morale Cattolica entra decisamente nella cultura cattolica ufficiale del nuovo secolo. Nelle encicliche72, nelle lettere, nelle esortazioni apostoliche, nei messaggi e nei discorsi dei pontefici romani, si trovano frequentemente citazioni manzoniane per sostenere un migliore cammino della Chiesa universale in tempi nuovi e non meno difficili.


[1]ANTONIO SPADARO S.I., Intervista a Papa Francesco, in "La Civiltà Cattolica", 2013, anno 164, n. 3918, pag. 471.  
[2] ARTURO CARLO JEMOLO, Il dramma di Manzoni, Le Monnier, Firenze, 1973, p. 55. 
[3] ALESSANDRO MANZONI, Adelchi, Atto I, Scena II, v. 115. 
[4] LUCIANO MALUSA, Antonio Rosmini per l’unità d’Italia. Tra aspirazione nazionale e fede cristiana, Franco Angeli, Milano, 2011, p. 167. 
[5] ALESSANDRO MANZONI, Il proclama di Rimini, 1815, v. 34.
Nella primavera 1815, Gioacchino Murat, insediato da Napoleone sul trono di Napoli, dichiara guerra all’Austria e rivolge un appello agli Italiani, presentandosi come alfiere dell’indipendenza italiana. Il Manzoni compone una canzone, con lo stesso titolo del proclama murattiano, rimasta, però, incompiuta 
[6] ALESSANDRO MANZONI, Marzo 1821, vv. 30-31. 
[7] ALESSANDRO MANZONI, Lettera a Giorgio Briano, Milano, 7 ottobre 1848. 
[8] Nella seduta pomeridiana del Senato della Repubblica del 22 maggio 1985, il presidente Giuseppe Cossiga, presentando il senatore a vita Carlo Bo, incaricato di relazionare “Per il secondo centenario della nascita di Alessandro Manzoni”, ricorda: «Il genero Giorgini, nel riferire dei tentativi fatti da Massimo D’Azeglio perché Manzoni non andasse a Torino per quel voto scrisse di lui: “Ha in testa più fitto che mai il chiodo di Roma ed è sempre pieno di fiducia che a Roma ci potremo andare con il pieno consenso della coscienza cattolica”». 
Vedi Senato della Repubblica, IX Legislatura, 309a seduta pubblica pomeridiana, mercoledì 22 maggio 1985, p. 4 del resoconto stenografico. 
[9] CARLO BO, Per il secondo centenario della nascita di Alessandro Manzoni, Commemorazione al Senato, Senato della Repubblica, IX Legislatura, 309a seduta pubblica pomeridiana, mercoledì 22 maggio 1985, p. 4 del resoconto stenografico. 
[10] Dov’è l’Idea? Appendice al Dialogo sull’Invenzione di Alessandro Manzoni, in "La Civiltà Cattolica", 1851, Anno 2, vol. 6, p. 129. 
[11]  Infermità e guarigione di Alessandro Manzoni…, in "La Civiltà Cattolica",1858, anno 9, vol. 11, p. 498.
[12] ITALO CALVINO, ‘I Promessi Sposi: il romanzo dei rapporti di forza’, in Una pietra sopra, Einaudi, Torino 1880, p.333. 
[13] La Civiltà Cattolica, 1858, anno 9, vol. 12, p. 218. 
[14] Delle condizioni di Milano prima e dopo la guerra del 1859, in "La Civiltà Cattolica", 1862, anno 13, vol. 1, n. 287, p. 563. 
[15] Cronaca contemporanea, in "La Civiltà Cattolica", 1872, anno 23, vol. 5, n. 520, p. 91. 
[16] Ivi, p. 736. 
[17] Olderico ovvero il zuavo pontificio. Racconto del 1860, in "La Civiltà Cattolica", 1861, anno 12, vol. 9, p. 280. 
[18] Altra lettera del Garibaldi ai Siciliani per dichiarare guerra al Cattolicismo, in "La Civiltà Cattolica", 1861, anno 12, vol. 10, p. 750. 
[19] Lettere di Garibaldi, in "La Civiltà Cattolica", 1862, anno 13, vol. 1, p. 363.
[20] I crociati di San Pietro. Scene storiche del 1867, in "La Civiltà cattolica", 1868, anno 19, vol. 2, n. 433, p. 61.
[21] L’invasione sarda negli stati della Chiesa, in "La Civiltà Cattolica", 1860, anno 11, vol. 8, p. 30. 
[22] PIO IX, Messaggio al senatore Cannart d’Hamale ed ai membri della federazione dei circoli cattolici del Belgio, in "La Civiltà Cattolica", 1873, anno 24, vol. XI, p. 99.
[23] Di due giornali torinesi, la Gazzetta del Popolo ed il Diritto, contrarii alla Convenzione del 15 Settembre, in "La Civiltà Cattolica", 1864, anno 15, vol. 12, n. 352, pp. 467-468. 
[24] Il ministro Broglio, con decreto del 14 gennaio 1968, istituisce una commissione con una sezione milanese (Manzoni presidente, Ruggiero Bonghi e Giulio Carcano) e con una sezione fiorentina (Raffaello Lambruschini vicepresidente, Niccolò Tommaseo, Giuseppe Bertoldi, Achille Mauri). 
[25] Dell'unità della lingua e de' mezzi di diffonderla. Relazione al Ministro della Pubblica Istruzione, proposta da Alessandro Manzoni agli amici colleghi Bonghi e Carcano, ed accettata da loro. Lettera del medesimo Alessandro Manzoni al Bonghi, intorno al soggetto del Trattato di Dante Alighieri De vulgari Eloquio, in "La Civiltà Cattolica", 1868, anno 19, vol. 2, n. 434, p. 197. 
[26] Ivi, p. 198. 
[27] Dell'unità della lingua e de' mezzi di diffonderla. Relazione al Ministro della Pubblica Istruzione, proposta da Alessandro Manzoni agli amici colleghi Bonghi e Carcano, ed accettata da loro, in "La Civiltà Cattolica", 1868, anno 19, vol. 2, n. 435, p. 327. 
[28] Ivi, p. 342. 
[29] ALESSANDRO MANZONI, Lettera a Emilio Broglio, in ALESSANDRO MANZONI, Tutte le lettere (a cura di CESARE ARIETI), vol. III, Adelphi, Milano, 1986, p. 347. 
[30] Cronaca Contemporanea, in "La Civiltà Cattolica", 1873, anno 24, Vol. 10, n. 551, p. 598. 
[31] G. SPADOLINI, Prefazione, in A.C. JEMOLO, Il dramma del Manzoni, Le Monnier, Firenze 1973, p. VII. 
[32] Cronaca Contemporanea, in "La Civiltà Cattolica", 1873, anno 24, vol. 10, n. 552, p. 710. 
[3]3 Ivi
[34] Ivi
[35] Alessandro Manzoni e Giuseppe Puccianti, in "La Civiltà Cattolica", 1873, anno 24, vol. 11, n. 553, p. 78. 
[36] Ivi, p. 79. 
[37] GIUSEPPE BIANCHERI, Annunzio della morte di Alessandro Manzoni, in Camera dei Deputati, Sessione 1871/72, Tornata del 23 maggio 1873, p. 6638. 
[38] Cose Italiane. Lutto della rivoluzione per la morte di varii suoi protagonisti; elogi funebri di Urbano Rattazzi, in "La Civiltà Cattolica", 1873, anno 24, vol. 10, n. 552, p. 732. 
[39] Cronaca contemporanea. Vidi impios sepultos: qui, cum viverent, in loco sancto erant, in "La Civiltà Cattolica", 1873, anno 24, vol. 10, n. 552, p. 710. 
[40] Alessandro Manzoni e Giuseppe Puccianti, in "La Civiltà Cattolica", 1873, anno 24, vol. 11, n. 553, p. 80. 
[41] Ivi
[42] Ivi, p. 81. 
[43] Ivi
[44] Ivi
[45] Ivi, p. 82. 
[46] Ivi, p. 84.
[47] Ivi, p.78. 
[48] Dopo il cinquantenario del darwinismo (1858 - 1908), in "La Civiltà Cattolica", 1909, anno 60, vol. 2, n. 1411, p. 18. 
[49] Del problema di redenzione morale in Italia, in "La Civiltà Cattolica", 1886, anno 37, vol. 1, n. 856, p. 394. 
[50] GIOVANNI BOSCO, La Storia d’Italia raccontata alla gioventù dai suoi primi abitatori ai nostri giorni, 16a Ed., Tipografia e Libreria Salesiana, Torino, 1885, pp. 486-487. 
[51] Della decadenza del pensiero italiano. Il romanzo, in "La Civiltà Cattolica", 1884, anno 35, vol. 8, n. 824, p. 178. 
[52] Ivi, p. 179. 
[53] Alessandro Manzoni e Giuseppe Puccianti, op. cit., p. 82.
[54] Ivi
[55] Della decadenza del pensiero italiano. Il romanzo, in "La Civiltà Cattolica", 1884, anno 35, vol. 6, n. 816, p. 700. In un altro articolo (Risposta ai lodatori del merito degli scrittori malvagi, in "La Civiltà Cattolica", 1895, anno 46, vol. 1, n. 1074, p. 673) non si perdonano le critiche del "Vate d’Italia" al Manzoni, di cui, si scrive nella rivista, «il magno Carducci ne parlò con in bocca or fiele or aceto», probabilmente non ritenendo assolutorio il famoso discorso palinodico dello stesso Carducci a Lecco l’11 ottobre 1891, in cui, tra l’altro, afferma: «Nel triste decennio avanti il sessanta, …, io ebbi il torto di pigliarmela con l’opera religiosa del Manzoni. Ma ben presto mi ravvidi».
Ancora nel 1927, dopo la prima guerra mondiale, "La Civiltà Cattolica", 1927, anno 78, vol. 2, n. 1846, p. 348,  insiste nel riprendere il Carducci: «Il fiero poeta, ignaro a partito del futuro dello spirito immortale, non può pretendere d’impancarsi a pedagogo e maestro d'una rinascita e d’un’aurora che segue il tramonto del materialismo e del positivismo, dell'incredulità premiata e della morale indipendente, mentre risfavilla nel cielo della letteratura italiana l’astro manzoniano, per poco offuscato dal Carducci, e pur sempre vivido di luce perenne, placida, morale e religiosa, come perenne è la vita e la brama dell'anima umana, la quale ha nel Manzoni un'arte più nuova della carducciana, e tal maestro di alti pensieri, di fede e di virtù, da farne un pianeta Che mena dritto altrui per ogni calle».
Al Manzoni vengono rivolte critiche, in alcuni ambienti laici, per il suo patriottismo non militante, ritenendo che I Promessi Sposi «offrivano sul momento uno svantaggio nei riguardi dell’“azione”, [ponendo] una sì gran forza posta a servizio non dell’impeto passionale ma della pacata e superiore riflessione». Vedi, a tal proposito, GIOVANNI RABIZZANI, Ritratti Letterari (a cura di ACHILLE PELLIZZARI), Società Anonima Editrice Francesco Perrella, Firenze, 1921, p. 4. 
Alle irriverenti e derisorie critiche di Luigi Settembrini, che «si divertiva, come tutti sanno, a mettere in canzone i Promessi Sposi», "La Civiltà Cattolica" replica: «Eppure non può ragionevolmente dubitarsi che questi vivranno immortali soprattutto per l’inarrivabile loro verità» (Ideale e verità, in "La Civiltà Cattolica", 1882, anno 33, vol. 12, n. 778, p. 415).
[56] GIOSUÈ CARDUCCI (con note a cura di A. ALBERTAZZI), A proposito di alcuni giudizi su Alessandro Manzoni, Zanichelli, Bologna, 1912, p. 12. 
[57] Ivi, p. 10. 
[58] Il pensiero cattolico nella storia contemporanea d’Italia, in "La Civiltà Cattolica", 1887, anno 38, vol. V, n. 880, pp. 436-437. 
[59] Ivi, p. 437. 
[60] Ivi
[61] Ivi, p. 438.
[62] Ivi
[63] Ivi, p. 441. 
[64] JEAN CHARLES LEONARD SIMONDE DE SISMONDI, Histoire des républiques italiennes du moyen âge, Tome XVI, Treuttel et Wûrtz Libraires, Paris, 1826, p. 445. 
[65] Il pensiero cattolico nella storia contemporanea d’Italia, op.cit., p. 441. 
[66] Ivi
[67] Ivi, 442. 
[68] Rivista della Stampa - Criteri letterarii e pregiudizii non letterarrii in un libro di A. Graf profess. nell’Università di Torino, in "La Civiltà Cattolica", 1898, anno 49, vol. 2, n. 1150, p. 444. 
[69] Ivi, p. 446. 
[70] Decadenza e depravazione dell’Arte, in "La Civiltà Cattolica", 1899, anno 50, vol. VII, n. 1177, pag. 11. 
[71] Ivi, p. 18. 
[72] Nel 1929, la lettera Enciclica Divini Illius Magistri di Pio XI definisce Manzoni «mirabile scrittore quanto profondo e coscienzioso pensatore» e utilizza una significativa e non breve citazione delle Osservazioni sulla Morale Cattolica per affermare che la Chiesa «sola possiede originariamente e inammissibilmente l’intera verità morale (omnem veritatemnella quale tutte le verità particolari sono comprese».