Titina Laserra, dopo “Un pomeriggio d’estate” e “Cuori in
tumulto”, fa dono di un'altra perla della sua bella ispirazione narrativa con
“Gli occhi dell’anima”, pubblicato per i tipi della Scorpione Editrice di Piero
Massafra.
Va subito detto che per Laserra forma e contenuto non sono estranei. La bellezza e la cura della forma, della parola pensata a cui sa dare forza e pienezza di significato, di un lessico appropriato, di un periodare con una punteggiatura che accompagna il ritmo dell’azione e il respiro del lettore, arricchiscono il contenuto sempre avvincente, una storia dei nostri tempi raccontata con quella sapienza del cuore che nutre sentimenti e valori perenni.
Il
romanzo si fa apprezzare per l’organicità della struttura narrativa, che
evidenzia l’equilibrato dosaggio delle parti e la loro piena armonia. Il
protagonista Enrico è subito presentato per il suo essere “dignitoso e onesto”
in una famiglia serena, unita, moralmente sana, normale, con la mamma Teresa, attenta,
premurosa, fiduciosa, delicata e discreta e mai invadente, in un ambiente di
lavoro, un ufficio legale, dove da giovane penalista è costretto a districarsi
nella caoticità delle leggi, sapendo instaurare buoni rapporti con i colleghi e
con il titolare, secondo il quale «lo
studio è una famiglia e, quando è necessario, bisogna stare uniti ed aiutarsi».
Tutto
ha inizio con un incontro casuale nella strada di una cittadina del sud, in cui
non è difficile scorgere Taranto, tra Enrico e Mahira, una ragazza indiana dal
passato oscuro e doloroso che giunge in Italia, interrompendo in India i suoi
studi universitari e occupata ora come infermiera nel reparto di cardiologia
del locale nosocomio. Tutto si svolge nell’arco di poco più di un anno, con un andamento
serrato, incalzante, con una trama che sa essere avvincente e coinvolgente, che
sa conquistare, con l’eleganza e il garbo d’una matura narrazione, l’attenzione
e l’interesse del lettore, a cui si porgono significative riflessioni e
descrizioni di un incantevole paesaggio presentato con tratti di sublime poesia,
perché Laserra è sempre attenta anche alle più piccole sfumature, con uno
spiccato gusto del particolare e del dettaglio.
Il
romanzo affronta più temi. In primo piano, quello dell’amore, qualcosa che
nasce all’improvviso e giammai imposto o consigliato, neanche dalle persone più
vicine, più care; quel sentimento che nasce sempre con un incontro ed è presentato
con l’iniziale emozione e timore, con la forza di sconvolgere l’anima e di far battere
forte il cuore, di assorbire ogni pensiero dell’innamorato ed Enrico «non
fa che pensare a quella sconosciuta che ha incontrato per caso»,
conquistato dal suo sguardo enigmatico e dolce, dalla sua immagine ormai
fissata nella sua mente e nel suo cuore senza poterla dimenticare. Mahira, orfana
della madre dalla nascita e cresciuta da Mansour, uomo dalla presenza
ingombrante, possessivo, arrogante e violento, è l’amore contrastato,
ostacolato in ragione di una cultura che, nel Paese di origine, consente a
Mansour, compensato da una buona somma di denaro, di promettere Mahira in
matrimonio al non più giovane amico Hassan, che giunge in Italia per pretendere
il rispetto del patto stipulato. L’amore tra Enrico e Mahira è un amore di
sentimenti e di sensi, con una sessualità mai fine a se stessa, mai morbosa, oscena
e senza pudore; è un amore quasi impossibile quando si sfidano mondi diversi
per la sopravvivenza di integralismi che tardano a scomparire.
È un
romanzo in cui il rosa, il noir, la suspence e la tensione si intrecciano, in
cui lo scorrere degli avvenimenti non è mai banale, scontato, sapendo essere sempre
originale e con l’imprevedibilità dietro l’angolo.
È,
soprattutto, un romanzo colto, dove in filigrana l’Autrice propone, con
discrezione, pillole di virtù morale, di pedagogia, di religiosità, di
sociologia, affrontando - tra gli altri - il tema dell’immigrazione visto nella
«moltitudine di migranti che parte dalla
propria terra, alla disperata ricerca di un luogo migliore dove vivere una vita
più dignitosa, insieme alla propria famiglia, che fugge dalle città dilaniate
dalla guerra e affamate» e che non
comporta alcun respingimento quando da parte degli immigrati c’è la
disponibilità «ad aprirsi
ad un mondo diverso, nuovo, libero e ad accettare tutte le novità, ma anche le
difficoltà di una società così lontana dalla propria … a integrarsi attraverso
lo studio della lingua del paese che ospita ed il rispetto degli usi e dei
costumi oltre che della religione».
Altro tema che l’Autrice mette a fuoco è quello della condizione femminile
ancora succube di stereotipi non facili da sradicare e di violenze da subire
impunemente. Mahira è la vittima di un mondo che calpesta la dignità della
donna, solo oggetto di piacere da comprare o da vendere, sempre e solamente da
usare.
Un
romanzo da leggere gradevolmente, con cui l’Autrice, con profonda onestà
intellettuale, invita a guardare in faccia la realtà, a saperla affrontare, con
coraggio e con dignità, perché - questo
è il sugo della storia, come direbbe uno dei giganti della nostra letteratura -
nella vita «momenti
tristi, bui, si alternano ad altri più sereni e ci rendono più forti e tenaci
per superare quelle fasi negative della nostra esistenza».
La vena narrativa di Titina Laserra saprà certamente offrire altre pagine ancor più belle per i suoi tanti lettori e ammiratori!
Guglielmo Matichecchia, Titina
Laserra e gli occhi dell’anima, in “Buonasera Taranto”, anno XXVIII, 14
ottobre 2020, n. 205, p. 17.