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Vittorio De Marco |
Vittorio De Marco, ordinario di Storia Contemporanea dell'Università del Salento di Lecce, curatore della Prefazione del saggio su Federico Di Palma, ha svolto la seguente relazione il 9 febbraio 2017, nel corso della presentazione del volume nella sala consiliare del Comune di San Giorgio Jonico.
Le
mie riflessioni su questo lavoro di Guglielmo Matichecchia le ho esternate, per
così dire, nella prefazione, a cui rimando per quella che è la mia visione
generale del libro. Ho avuto la possibilità di seguire per diversi tratti
questa ricerca del preside Matichecchia, dell’amico Guglielmo; me ne fece
subito partecipe, distraendo la sua attenzione, momentaneamente, da un’altra
ricerca che aveva in corso, non meno interessante, anche se di taglio
socio-antropologico e legata anche alla “storia della mentalità” oltre che del
costume, di cui però non anticipo nulla.
Ci
siamo incontrati diverse volte, mi ha fatto leggere i diversi passaggi
dell’opera, man mano che questa prendeva corpo; abbiamo discusso di alcuni
aspetti, ed ho potuto sempre rilevare la particolare passione e competenza con
le quali ha ricostruito la figura del giornalista, del politico, del
parlamentare.
Il
filone biografico nell'armamentario metodologico di uno storico è uno dei più
complessi, perché l’oggetto della ricerca non riguarda un singolo avvenimento;
la biografia dovendosi stendere nel lungo periodo, implica continuamente la
necessità di contestualizzare le azioni del personaggio, cogliendo aspetti e
tensioni di carattere generale che emergono nel tempo sia a livello locale che
nazionale e, in questo nostro caso, anche europeo. È sostanzialmente sulla
contestualizzazione che si misura la bravura e la capacità metodologica, riflessiva
e operativa, direi, di chi si cimenta in un lavoro biografico.
E nell'alveo delle biografie, quelle di carattere politico, risultano essere in
genere più complesse di quelle di altro carattere – letterario, religioso,
artistico – perché l’agguato ideologico è sempre dietro l’angolo. Quanti lavori
biografici sono stati sciupati perché l’autore si è completamente appiattito
sul dato ideologico e partendo da quello ha ricostruito la vita del personaggio
e il contesto relativo, tutto piegando e
tutto interpretando da un punto di vista ideologico; vi è un vero e proprio cimitero di queste biografie, soprattutto
in Italia dove gli aspetti ideologici, in particolare nel secondo dopoguerra,
sono stati forti e condizionanti l’attività scientifica di molti storici.
Le
biografie, poi, se ben strutturate e contestualizzate, diventano a loro volta
collettori di notizie, sedi di nodi problematici della storia che si riflettono
nel personaggio e intorno al personaggio oggetto di studio e quindi nello
stesso tempo, aprono altre prospettive di ricerca per se stessi ma soprattutto
per altri ricercatori, sollecitano nuove interpretazioni di passaggi nodali
della storia locale e nazionale, spingono ad aprire nuovi sentieri di
approfondimento; in altre parole spingono la ricerca storica in avanti,
arricchiscono le problematiche storiografiche, diventano punti di riferimento,
modelli interpretativi e metodologici di cui si deve tener conto.
Bene,
mi sembra che in questo denso lavoro biografico del preside Matichecchia su Federico di Palma siano presenti gli aspetti positivi che ho prima abbozzato, perché offre
diversi spunti e sollecitazioni:
a) innanzitutto una di carattere generale, che
ho già sottolineato nella prefazione: ci troviamo di fronte ad un modello metodologico
utile per chi volesse approfondire le biografie politiche di altri deputati e
senatori della provincia, proprio per il respiro nazionale che questa biografia
offre non chiudendo il personaggio nell'angusta o più che angusta, direi
insufficiente cornice locale. E credo che sia la prima esauriente biografia di
un politico del nostro territorio; anche per alcuni altri ci sono accenni,
veloci profili nei repertori biografici, ma manca quella costruzione
strutturale, se così posso dire, che il preside Matichecchia ha offerto con questo
libro su Federico Di Palma.
b) la lettura di questo libro e le vicende
elettorali di cui Di Palma fu protagonista e coprotagonista dal 1901 al 1913,
dovrebbe spingere ad approfondire con una specifica ricerca quello che è stato
negli anni giolittiani il comportamento elettorale nei vari collegi del Salento,
perché un’analitica ricerca sul comportamento elettorale offrirebbe nuove
chiavi di lettura delle vicende politiche e amministrative del territorio
nel passaggio tra Ottocento e Novecento,
in quella più generale fase di stabilizzazione socio-politica della giovane
Italia liberale postunitaria; un lavoro sul comportamento elettorale che
potrebbe essere poi proiettato anche sul secondo dopoguerra;
c)
altra pista di approfondimento che sollecita questa biografia riguarda le
condizioni economiche generali del territorio con le relative urgenze ed
emergenze – e Di Palma di questi aspetti economici ne parla molto e come
giornalista e come parlamentare – con nuovi dati più specifici e aggiornati sul
mondo dell’agricoltura locale e su quelle che potevano apparire allora piccole
parvenze di realtà industriali, magari solo di trasformazione, lasciando da
parte arsenale e futuri cantieri navali perché realtà importate. Un approfondimento
delle capacità o meno del territorio di esprimere una economia seppure agricola
che potesse avere in sé autonome potenzialità di sviluppo; statistiche precise
attraverso i repertori di allora e di pari passo un approfondimento sulla
realtà della cooperazione che a Taranto e nel circondario muove i primi passi
proprio nell'ultimo ventennio dell’Ottocento, con timide espansioni numeriche
fino allo scoppio della prima guerra mondiale e dove molto materiale
documentario si può trovare nell'archivio della cancelleria del tribunale di
Taranto;
d)
la ricerca del preside Matichecchia spinge anche ad una rilettura aggiornata del
complesso rapporto tra la marina militare e il territorio, ma soprattutto
sollecita un approfondimento dell’attività di carattere mercantile di quei
decenni, anche qui aiutati dalle statistiche del ministero dell’industria e di
quello della marina militare e mercantile del tempo, arrivando anche alle
soglie del secondo dopoguerra. Da questo punto di vista il lettore si renderà
conto della passione e competenza con le quali Di Palma giornalista prima e
deputato poi, affronta i problemi legati alla marina militare, al potenziamento
dell’arsenale, che a Taranto è la massima espressione di questa presenza dello
Stato attraverso la marina, ma anche l’attenzione che pone alla marina
mercantile; se c’è una storia militare di Taranto già scritta negli anni
Trenta, manca una storia del commercio di/a Taranto, un commercio più solido che doveva passare proprio attraverso un
potenziamento della marina mercantile;
e)
questo libro spinge anche a riflettere non poco sul rapporto
giornali-territorio, per tutti i condizionamenti che già allora la carta
stampata riusciva a determinare sui giochi politici nelle elezioni
amministrative e politiche; non possiamo più fermarci a quella ricerca di
Giovanni Acquaviva, benemerita allora ma ormai insufficiente da un punto di
vista metodologico, della storia dei giornali a Taranto (“Un secolo di giornali a Taranto”) pubblicata
nel 1982. Proprio questa biografia di Matichecchia su Di Palma, stimola ad
esaminare più a fondo quest’altro aspetto della nostra storia patria in quel
denso periodo di lotte e passioni elettorali che coincidono con l’avventura
politica di Di Palma nell'età giolittiana, dove non è solo la Voce del Popolo – che pure
ha una parte preponderante – a giocare un ruolo di freno o di affermazioni di
personaggi politici o ad influenzarne le scelte elettorali; c’è tutto un
brulichio di fogli periodici in tutto il Salento che hanno bisogno di uno
studio analitico per meglio comprendere le dinamiche politiche ed elettorali
del tempo, gli argomenti più trattati, le problematiche affrontate, prima che
il fascismo appiattisca tutto in una sorta di monotonia concettuale;
f)
questo libro, ancora, sollecita ad indagare sul rapporto tra poteri nazionali e locali che condizionano la
vita del circondario riprendendo in mano le relazioni dei prefetti di Lecce e
della sottoprefettura di Taranto, i personaggi che si sono avvicendati in quei
posti, i rapporti con la vicina ingombrante provincia di Bari, per cercare di
meglio capire ciò che alla fine, ci spettava dallo Stato e magari non ci fu
dato, quello che potevamo ottenere con le forze politiche in campo, quello che
si riusciva a esprimere come forza contrattuale nei confronti di Lecce e di
Bari; il libro ci dice tra l’altro come Federico
Di Palma su tutti questi aspetti cercò di aprire dei varchi e di sensibilizzare
l’opinione pubblica locale e i poteri romani;
g)
questo libro spinge a riflettere sul peso politico del mondo cattolico nelle
competizioni elettorali amministrative e soprattutto politiche del 1909 e del
1913, dove di Palma ha la sua parte, qui esaustivamente illustrata, ma dove
bisogna tenere conto che diverse realtà locali, esprimevano preti e laici
cattolici di un certo livello che si esponevano ben oltre le proibizioni dei
vescovi e della stessa Santa Sede, e che impigliati negli equilibri familiari e
nelle simpatie politiche che queste famiglie della borghesia esprimevano nei
confronti del notabilato locale, votavano e facevano votare alle elezioni
politiche anche prima che Roma allentasse la proibizione di partecipare alle
elezioni negli appuntamenti elettorali del 1904, 1909 e soprattutto 1913; c’è
stata in sostanza una disobbedienza canonica diffusa e recidiva, perché gli
stessi preti che poi chiedevano alla Penitenzieria apostolica il condono della
pena canonica per essere andati a votare tornavano a farlo nelle successive
competizioni; ci sono tracce vistose sia negli archivi ecclesiastici locali sia nell'Archivio Segreto Vaticano come io stesso anni fa ho direttamente
sperimentato;
h)
e ancora questo libro sollecita un approfondimento di tutti gli aspetti
economici, politici, sociali e antropologici legati alla prima guerra mondiale
sul nostro territorio anche perché siamo ancora immersi nel lungo centenario
della grande guerra.
Ecco,
questo è un potenziale spettro di ricerche che il lavoro del preside
Matichecchia suggerisce e non è poco; con questo libro ha scritto, come ho
sottolineato nella prefazione, una pagina intensa della storia di Taranto e del
suo circondario tra Otto e Novecento.
Sulla
vicenda personale di Di Palma vorrei brevissimamente mettere in evidenza tre
aspetti: 1) la sua comprensione della geopolitica del tempo; 2) la capacità di
leggere le emergenze del territorio; 3) alcuni progetti “ardimentosi”.
Nell'agone politico internazionale l’attenzione del Di Palma si appuntò sull'alleanza tra
Roma e Vienna e Berlino, sulla Triplice Alleanza che se quando fu stipulata,
nel 1882, in qualche modo risultava essere utile all'Italia per immettersi con
più sicurezza e prestigio nel circuito internazionale e per liberarsi al
contempo di una certa tutela e atteggiamento paternalistico della Francai nei
suoi confronti, agli inizi del ‘900, con alleanze che si cucivano e scucivano,
con un imperialismo diffuso che scombinava continuamente gli equilibri europei,
balcanici, dell’Africa settentrionale e relative colonie e protettorati, per di
Palma, quella alleanza risultava essere più pericolosa che utile all'Italia.
Egli
pur essendo un deputato filogovernativo, la critica dai banchi parlamentari, senza
tanti veli e schermi diplomatici, soprattutto a partire dal 1909. Era convinto che nell'Adriatico si doveva prima o poi definire e consumare quella rivalità
secolare, che la reciproca riserva mentale era alimentata dalla reciproca
cultura del sospetto, che vi era una ostilità carsica che il manto
dell’alleanza non aveva certo sopito né risolto, anche perché i confini
orientali italiani non erano affatto del tutto definiti.
Nel
suo modo di vedere e valutare le cose era chiaro che l’alleanza con
l’Austria-Ungheria si stava svuotando di contenuti e l‘opinione pubblica
italiana sarebbe stata pronta anche nel 1911 ad uno sganciamento indolore dalla
Triplice Alleanza, che gli equilibri geopolitici allontanavano sempre più le
due nazioni da eventuali mire convergenti.
Se
si fosse salvato il suo archivio forse avremmo capito meglio se questo suo
atteggiamento critico verso il formale alleato dell’Italia era una sua
solitaria presa di posizione, ovvero questa era stata in qualche modo
concertata col governo, se cioè Di Palma e qualcun altro deputato erano stati
mandati in avanscoperta per saggiare la reazione dell’Austria di fronte ad un
eventuale sganciamento dell’Italia da quella alleanza.
Io
penso che siamo in questa seconda ipotesi e forse un sondaggio, non certo
facile, nell'archivio del ministero degli esteri o nelle carte Giolitti
potrebbe fornirci una qualche risposta ovvero, sarebbe interessante consultare
l’archivio del ministero degli esteri di Vienna per capire se l’ambasciatore
austriaco in Italia tra il 1909 e il 1911 commentò o meno queste affermazioni
che provenivano dai banchi del parlamento italiano. Anche da questo punto di
vista, il libro su Di Palma sollecita un’altra interessante pista di ricerca e
di approfondimento.
L’altro
aspetto che si può sottolineare è la sua capacità di leggere le emergenze del
territorio e di lavorare prima come giornalista per sensibilizzare l’opinione pubblica
locale e romana e poi come deputato per agire nei consessi romani a favore di
queste emergenze:
1)
un rafforzamento concreto dell’Arsenale militare che stentava a decollare per
una certa distrazione degli ambienti romani, che avrebbe avuto ricadute
positive sui livelli occupazionali di tutto il circondario di Taranto e oltre;
2)
una soluzione soddisfacente per il porto mercantile che avrebbe anch’esso
significato un ritorno di benessere economico per il territorio;
3)
una presenza qualificata a Taranto dell’aeronautica militare;
4)
un ampliamento della rete ferroviaria che avrebbe doppiamente servito cittadini
e commesse commerciali;
5)
una legge per il Mar Piccolo che paradossalmente dopo il tramonto delle
“peschiere”, quel sistema privatistico di sfruttamento che aveva retto
l’economia di questo mare dal medioevo all'unità d’Italia, proprio nel momento
della sua liberalizzazione stenta a trovare nelle soluzioni locali e nazionali
una sistemazione economica e gestionale efficiente e produttiva.
In
tutto questo groviglio di problemi lo aiutò la precedente esperienza
giornalistica nel modello di comunicazione in quella non facile azione di
captare l’interesse non solo degli enti locali del tempo, ma di quelli romani
sui vari problemi del circondario di Taranto e la lettura di questo libro ce ne
rende pienamente edotti.
Infine
qualche proposta “ardimentosa”. La difesa del Paese passava necessariamente
anche da Taranto e per questo avanzò, in momenti diversi, la proposta di due
progetti che rispondevano ai suoi occhi alle esigenze di razionalizzazione
delle forze militari e delle strategie di intervento in una eventuale guerra:
il primo progetto si riferiva alla costruzione di un canale navigabile da
Taranto a Brindisi, dallo Jonio all'Adriatico, in modo da poter trasferire
rapidamente parte della flotta da un mare all'altro, in caso di guerra con
l’Austria o per un più stretto controllo del Canale d’Otranto; il secondo
prevedeva una specie di uscita di emergenza della flotta dal mar piccolo per
evitare l’imbottigliamento nei due seni se il ponte girevole fosse stato
attaccato, suggerendo un secondo canale a Porta Napoli.
Questo
secondo progetto verrà ripreso in tutta segretezza, all'insaputa della città,
dalla marina militare nel 1936 e in piena guerra nel 1942. Quando frequentavo
con più assiduità l’archivio centrale dello stato a Roma, mi imbattei nel fondo
del Gabinetto della Marina Militare in un grosso faldone ancora intonso, mai
aperto, dove sostanzialmente ho ritrovato, ripresa dai vertici della marina
militare, l’idea di Di Palma di un secondo canale navigabile nella città
vecchia, con foto di plastici e disegni. Quindi qualcuno forse non aveva
dimenticato il progetto che il nostro deputato aveva suggerito a suo tempo.
Per
altre suggestioni rimando come detto all'inizio alle pagine della prefazione.
Scorrono in questo libro pagine di una storia solo apparentemente lontana nel
tempo, perché, pure presenti con altre dimensioni e caratteristiche, alcuni dei
mali allora denunciati da Di Palma serpeggiano ancora nelle nostre contrade,
nei nostri orizzonti locali, turbando e interrogando la coscienza di chi ha una
coscienza, nella speranza che si possano in qualche modo prima o poi risolvere.