L’immatura
scomparsa
Nel penultimo giorno dell’agosto 1929, anche
90 anni fa di venerdì, vinto da un male incurabile, scompare, appena cinquantenne,
l’on. Leonida Colucci, fedele interprete dell’ortodossia mussoliniana nella
Camera dei deputati e nel fascismo tarantino.
Colucci, prima di essere il parlamentare
e il titolare d’un accorsato studio legale, è il tarantino delle cozze, essendo nato il 25 maggio 1879 nel vico Statte;
cresce e corre tra i vicoli e la marina
dei pescatori, tra i signorili palazzi e gli angusti tuguri, tra gli schiamazzi
e le grida di un Isola viva, coinvolgente, affollata di suoni, di colori, di
odori e di sguardi; conosce bene la sua città, i suoi abitanti; sa stare e
intrattenersi con tutti e sa trovare sempre le parole giuste e adeguate con
ciascuno.
L’avvocato di successo
Colucci è avvocato di successo. La rivista
“L’Eloquenza”, diretta dall’illustre concittadino Antonio Russo, pubblica, nel
fascicolo di dicembre 1913, il profilo del giovane legale che porta «una
passione, una vita, un impeto, un ardore quale a pochissimi è dato portare».
Nelle sue battaglie legali, condotte con «il suo ingegno acuto sottile, si
avvale di tutte le risorse per deviare un pericolo, preparare un beneficio,
sventare una trama, accattivarsi una simpatia. […] Ma ciò che lo rende più
specialmente ammirato è quella sicurezza che egli porta di sé e della sua tesi,
anche quando ne avverte tutte le debolezze e la fragilità […] Divide con la
folla che lo acclama le soddisfazioni della vittoria e l’ingiustizia - dice lui
- della sconfitta».
In una vivace udienza in corte d’assise
del 19 marzo 1908, tra la sorpresa degli autorevoli colleghi della controparte
(Giovanni Spartera, Edoardo Sangiorgio, Angelo Parabita, Enrico Frascolla,
Luigi Scoppetta), rileva e rivela «con parola simpatica e convincente» che uno
dei giurati ha un’età maggiore di quella richiesta e non può, sotto pena di
nullità, far parte della giuria. Il
magistrato che presiede, Giuseppe Cagnazzi, non può non accogliere la richiesta
dell’avv. Colucci e rinviare il processo a nuovo ruolo.
Il giovane legale, tra l’altro, può vantare
una laurea con lode, conseguita il 1902, nella regia università di Napoli,
discutendo brillantemente una tesi, in economia politica, “Lo sciopero in
Italia”, con relatore Francesco Saverio Nitti.
La scelta radicale
Nello stesso anno, la sua scelta
politica è chiara e inequivocabile: no ai liberali dell’“Associazione
Democratica” di Vincenzo Damasco e di Camillo Jannelli; no ai liberali della
“Pro-Taranto” di Federico Di Palma, di Vincenzo Calò e di Francesco Troilo; no
ai socialisti di Edoardo Sangiorgio e di Odoardo Voccoli; sì al partito
radicale, alle sue tradizioni mazziniane e garibaldine, repubblicane e
anticlericali, dove assume ben presto l’incontrastata leadership.
Il debutto in consiglio comunale è con la
tornata elettorale del 4 aprile 1909, con la piccola pattuglia radicale
composta da Angelo Liuzzi, dall’avv. Aurelio Marchi e dal dott. Luigi Serio.
Nel 1913, in occasione delle elezioni
per il rinnovo della Camera dei deputati, la ricostruita sezione radicale (Leonida
Colucci, presidente; L. Serio, A. Marchi, avv. Luigi Scoppetta, prof. Niccolò
Tommaso Portacci e rag. Giuseppe Buono, consiglieri), con il dissenso di Serio,
aderisce all’“Unione Popolare Tarantina”, un improvvisato coacervo di forze
elettorali a sostegno del candidato radicale e massone Giovanni Albano. Questi ottiene
meno della metà dei voti conquistati, nel collegio elettorale, dal vincitore Federico
Di Palma.
Il 14 giugno 1914, nelle elezioni
amministrative del capoluogo, al di là della vittoria della “Pro-Taranto”, i
radicali portano, nei banchi della minoranza, ben 10 eletti, noti professionisti,
tutti iniziati alla stretta e fraterna osservanza massonica (L. Colucci, dott.
Floriano Dell’Aquila, notaio Giovanni Carano, A. Marchi, avv. Michele Casavola,
N.T. Portacci, rag. Francesco Boccuni, prof. Emidio Ursoleo, avv. Giovanni
Prete e dott. Matteo Fago).
La svolta politica
Dopo il servizio militare, come
ufficiale di artiglieria, durante la Grande Guerra, cui partecipa, rifiutando la
dispensa per un’invalidante infermità all’orecchio, riprende l’attività
politica nel partito radicale, in un’Italia, profondamente mutata dopo il
conflitto mondiale, in cui la crisi economica e sociale arroventa il clima
politico e la lotta di classe.
Nelle
elezioni comunali del 24 ottobre 1920, vinte dalla coalizione dei vecchi
partiti con il sostegno dell’Associazione dei combattenti e dell’Unione
commerciale, industriale e agraria, Colucci non presenta la sua candidatura
nella lista dei radicali. Per questi è una débâcle e Colucci si adopera per
ricostruire la sezione del partito che, a livello nazionale, ha cambiato la
denominazione in “Democrazia Sociale” e partecipa al primo governo del nuovo
regime. Colucci è il fiduciario provinciale del ridenominato partito. Nel
gennaio 1924, nelle cariche della sezione tarantina ci sono: il dott. Giuseppe
Mastrocinque, presidente; il notaio Carano, vicepresidente; l’impiegato
dell’arsenale M.M., Rodolfo Colizzi, segretario.
Il locale PNF è spaccato al suo
interno, con gravi lacerazioni tra la minoranza dei “puri e duri” della prima
ora e la maggioranza degli ultimi arrivati, gli stessi della vecchia e
inaffondabile classe politica.
Con le elezioni politiche del 6 aprile
1924, le prime del regime fascista, con un sistema elettorale premiante il
partito al potere, si ritirano gli onorevoli Francesco Troilo, Giuseppe Grassi
e Giovanni Calò. All’avv. Colucci si chiede di lasciare il suo partito e di
accettare la tessera e la candidatura del P.N.F. L’immediata risposta
affermativa suscita accuse di tradimento e feroci polemiche che lacerano consolidati
rapporti politici e umani e ne fanno intrecciare di nuovi. La minoranza e i dissidenti
del PNF denunciano le ingerenze massoniche di quanti, in un baleno, si sono
impadroniti del partito e che «dopo aver carpito la tessera nel pomeriggio si
son fatta costruire la camicia nera alla mezzanotte. […] È cinismo! È mancanza
di pudore!». Nicola Pappacena ribatte a difesa del transfuga che «se si volesse
fare i puritani in politica, si finirebbe con l’essere solo dei minchioni». Non
mancano per Colucci i consensi da parte di colleghi e amici, tra i quali il colto
medico grottagliese Ignazio Carrieri invia una cortese lettera di stima e di
solidarietà.
La “folgorazione” comporta l’immediata
elezione alla Camera dei deputati nella XXVII (24 maggio 1924 - 21 gennaio
1929) e XXVIII legislatura (20 aprile 1929 - 19 gennaio 1934).
Giannino Acquaviva, storico direttore
de “Il Corriere del Giorno” annoterà che Colucci «con incredibile faccia tosta,
passa dal Partito Radicale alla Democrazia Sociale, ed infine al Fascismo». Con
riferimento ad una deprecabile pratica politica, Roberto Nistri vedrà nell’on.
Colucci l’esempio di «un trasformismo così eclatante da poter essere reso
possibile solo dal marasma continuo che sconvolge il fascismo jonico».
La carriera politica è senza ostacoli. La
vita, però, può riservare dolorose sorprese!
L’ispirazione poetica
Dell’umanità di Colucci, infine, non va
dimenticata la giovanile “vena” poetica. Nell’anno prima della laurea, pubblica
tre sentimentali poesie in lingua italiana (Sogno, Fiore appassito,
Trillo d’anima) con l’anagramma Cidone Lucciola.
Nel 1902, con lo pseudonimo Radiche
de Scalere, risponde aspramente, con versi in vernacolo, nel corso di una
disputa, al più noto poeta dialettale del tempo, Emilio Consiglio alias Cataldo
Selaride. Questi, politicamente schierato con l’“Associazione Democratica”
al governo della città, è autore d’un canzonatorio sonetto U’ partite
radicale per salutare la nuova sezione, fondata da Colucci. La poesia non particolarmente
gradita dà luogo a un’inelegante polemica «di una certa risonanza - secondo
Pietro Mandrillo - nella modesta Taranto dei primi anni del secolo», consentendo
così al Colucci di essere ricordato anche attraverso la vita e il vernacolo del
buon Consiglio.
Guglielmo Matichecchia
Società di Storia Patria per la Puglia
(Guglielmo Matichecchia, Colucci, radicale che sposò il
fascio, in “Buanasera Taranto”, Anno XXVII, 8-9 settembre 2019, n. 201, p.
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