martedì 10 settembre 2019

Colucci, radicale che sposò il fascio


L’immatura scomparsa
Nel penultimo giorno dell’agosto 1929, anche 90 anni fa di venerdì, vinto da un male incurabile, scompare, appena cinquantenne, l’on. Leonida Colucci, fedele interprete dell’ortodossia mussoliniana nella Camera dei deputati e nel fascismo tarantino.
Colucci, prima di essere il parlamentare e il titolare d’un accorsato studio legale, è il tarantino delle cozze,  essendo nato il 25 maggio 1879 nel vico Statte; cresce  e corre tra i vicoli e la marina dei pescatori, tra i signorili palazzi e gli angusti tuguri, tra gli schiamazzi e le grida di un Isola viva, coinvolgente, affollata di suoni, di colori, di odori e di sguardi; conosce bene la sua città, i suoi abitanti; sa stare e intrattenersi con tutti e sa trovare sempre le parole giuste e adeguate con ciascuno.

L’avvocato di successo
Colucci è avvocato di successo. La rivista “L’Eloquenza”, diretta dall’illustre concittadino Antonio Russo, pubblica, nel fascicolo di dicembre 1913, il profilo del giovane legale che porta «una passione, una vita, un impeto, un ardore quale a pochissimi è dato portare». Nelle sue battaglie legali, condotte con «il suo ingegno acuto sottile, si avvale di tutte le risorse per deviare un pericolo, preparare un beneficio, sventare una trama, accattivarsi una simpatia. […] Ma ciò che lo rende più specialmente ammirato è quella sicurezza che egli porta di sé e della sua tesi, anche quando ne avverte tutte le debolezze e la fragilità […] Divide con la folla che lo acclama le soddisfazioni della vittoria e l’ingiustizia - dice lui - della sconfitta».
In una vivace udienza in corte d’assise del 19 marzo 1908, tra la sorpresa degli autorevoli colleghi della controparte (Giovanni Spartera, Edoardo Sangiorgio, Angelo Parabita, Enrico Frascolla, Luigi Scoppetta), rileva e rivela «con parola simpatica e convincente» che uno dei giurati ha un’età maggiore di quella richiesta e non può, sotto pena di nullità, far parte della giuria.  Il magistrato che presiede, Giuseppe Cagnazzi, non può non accogliere la richiesta dell’avv. Colucci e rinviare il processo a nuovo ruolo.  
Il giovane legale, tra l’altro, può vantare una laurea con lode, conseguita il 1902, nella regia università di Napoli, discutendo brillantemente una tesi, in economia politica, “Lo sciopero in Italia”, con relatore Francesco Saverio Nitti.

La scelta radicale
Nello stesso anno, la sua scelta politica è chiara e inequivocabile: no ai liberali dell’“Associazione Democratica” di Vincenzo Damasco e di Camillo Jannelli; no ai liberali della “Pro-Taranto” di Federico Di Palma, di Vincenzo Calò e di Francesco Troilo; no ai socialisti di Edoardo Sangiorgio e di Odoardo Voccoli; sì al partito radicale, alle sue tradizioni mazziniane e garibaldine, repubblicane e anticlericali, dove assume ben presto l’incontrastata leadership.
Il debutto in consiglio comunale è con la tornata elettorale del 4 aprile 1909, con la piccola pattuglia radicale composta da Angelo Liuzzi, dall’avv. Aurelio Marchi e dal dott. Luigi Serio.
Nel 1913, in occasione delle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati, la ricostruita sezione radicale (Leonida Colucci, presidente; L. Serio, A. Marchi, avv. Luigi Scoppetta, prof. Niccolò Tommaso Portacci e rag. Giuseppe Buono, consiglieri), con il dissenso di Serio, aderisce all’“Unione Popolare Tarantina”, un improvvisato coacervo di forze elettorali a sostegno del candidato radicale e massone Giovanni Albano. Questi ottiene meno della metà dei voti conquistati, nel collegio elettorale, dal vincitore Federico Di Palma.
Il 14 giugno 1914, nelle elezioni amministrative del capoluogo, al di là della vittoria della “Pro-Taranto”, i radicali portano, nei banchi della minoranza, ben 10 eletti, noti professionisti, tutti iniziati alla stretta e fraterna osservanza massonica (L. Colucci, dott. Floriano Dell’Aquila, notaio Giovanni Carano, A. Marchi, avv. Michele Casavola, N.T. Portacci, rag. Francesco Boccuni, prof. Emidio Ursoleo, avv. Giovanni Prete e dott. Matteo Fago).

La svolta politica
Dopo il servizio militare, come ufficiale di artiglieria, durante la Grande Guerra, cui partecipa, rifiutando la dispensa per un’invalidante infermità all’orecchio, riprende l’attività politica nel partito radicale, in un’Italia, profondamente mutata dopo il conflitto mondiale, in cui la crisi economica e sociale arroventa il clima politico e la lotta di classe.
Nelle elezioni comunali del 24 ottobre 1920, vinte dalla coalizione dei vecchi partiti con il sostegno dell’Associazione dei combattenti e dell’Unione commerciale, industriale e agraria, Colucci non presenta la sua candidatura nella lista dei radicali. Per questi è una débâcle e Colucci si adopera per ricostruire la sezione del partito che, a livello nazionale, ha cambiato la denominazione in “Democrazia Sociale” e partecipa al primo governo del nuovo regime. Colucci è il fiduciario provinciale del ridenominato partito. Nel gennaio 1924, nelle cariche della sezione tarantina ci sono: il dott. Giuseppe Mastrocinque, presidente; il notaio Carano, vicepresidente; l’impiegato dell’arsenale M.M., Rodolfo Colizzi, segretario.
Il locale PNF è spaccato al suo interno, con gravi lacerazioni tra la minoranza dei “puri e duri” della prima ora e la maggioranza degli ultimi arrivati, gli stessi della vecchia e inaffondabile classe politica.
Con le elezioni politiche del 6 aprile 1924, le prime del regime fascista, con un sistema elettorale premiante il partito al potere, si ritirano gli onorevoli Francesco Troilo, Giuseppe Grassi e Giovanni Calò. All’avv. Colucci si chiede di lasciare il suo partito e di accettare la tessera e la candidatura del P.N.F. L’immediata risposta affermativa suscita accuse di tradimento e feroci polemiche che lacerano consolidati rapporti politici e umani e ne fanno intrecciare di nuovi. La minoranza e i dissidenti del PNF denunciano le ingerenze massoniche di quanti, in un baleno, si sono impadroniti del partito e che «dopo aver carpito la tessera nel pomeriggio si son fatta costruire la camicia nera alla mezzanotte. […] È cinismo! È mancanza di pudore!». Nicola Pappacena ribatte a difesa del transfuga che «se si volesse fare i puritani in politica, si finirebbe con l’essere solo dei minchioni». Non mancano per Colucci i consensi da parte di colleghi e amici, tra i quali il colto medico grottagliese Ignazio Carrieri invia una cortese lettera di stima e di solidarietà.
La “folgorazione” comporta l’immediata elezione alla Camera dei deputati nella XXVII (24 maggio 1924 - 21 gennaio 1929) e XXVIII legislatura (20 aprile 1929 - 19 gennaio 1934).
Giannino Acquaviva, storico direttore de “Il Corriere del Giorno” annoterà che Colucci «con incredibile faccia tosta, passa dal Partito Radicale alla Democrazia Sociale, ed infine al Fascismo». Con riferimento ad una deprecabile pratica politica, Roberto Nistri vedrà nell’on. Colucci l’esempio di «un trasformismo così eclatante da poter essere reso possibile solo dal marasma continuo che sconvolge il fascismo jonico».
La carriera politica è senza ostacoli. La vita, però, può riservare dolorose sorprese!

L’ispirazione poetica
Dell’umanità di Colucci, infine, non va dimenticata la giovanile “vena” poetica. Nell’anno prima della laurea, pubblica tre sentimentali poesie in lingua italiana (Sogno, Fiore appassito, Trillo d’anima) con l’anagramma Cidone Lucciola.
Nel 1902, con lo pseudonimo Radiche de Scalere, risponde aspramente, con versi in vernacolo, nel corso di una disputa, al più noto poeta dialettale del tempo, Emilio Consiglio alias Cataldo Selaride. Questi, politicamente schierato con l’“Associazione Democratica” al governo della città, è autore d’un canzonatorio sonetto U’ partite radicale per salutare la nuova sezione, fondata da Colucci. La poesia non particolarmente gradita dà luogo a un’inelegante polemica «di una certa risonanza - secondo Pietro Mandrillo - nella modesta Taranto dei primi anni del secolo», consentendo così al Colucci di essere ricordato anche attraverso la vita e il vernacolo del buon Consiglio.


Guglielmo Matichecchia
Società di Storia Patria per la Puglia


(Guglielmo Matichecchia, Colucci, radicale che sposò il fascio, in “Buanasera Taranto”, Anno XXVII, 8-9 settembre 2019, n. 201, p. 12) 





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