mercoledì 7 agosto 2019

Rochira, leone del foro e della politica


Oggi, in una società che consuma e dimentica rapidamente, s’avverte più che mai bisogno di odorare il buon profumo del passato per apprezzare il giusto valore del presente. 
Per non cadere nello smemoramento e nell’oblio con cui rimuovere le storie della storia di Taranto, anche una vecchia foto, in bianco e nero, aiuta a ritornare a 90 anni fa per riannodare, nella mente e nel cuore, ricordi che vanno al di là di quell’afoso agosto, riscaldato in un cielo certamente più azzurro rispetto a quello della nostra meno luminosa estate.
Il fascismo è al potere in Italia e tende a consolidarsi pure con il consenso del Vaticano, dopo i patti dell’11 febbraio 1929, sedando ogni residua opposizione con il manganello e con i tribunali speciali.
Le elezioni politiche del 24 marzo dello stesso anno hanno visto il conferimento della medaglietta d’oro a tre deputati tarantini: l’avv. Leonardo Mandragora, l’industriale Gianfranco Tosi e l’avv. Leonida Colucci.
Nell’agosto del Gioiello dello Jonio - come Miriam Pierri, con alcuni bellissimi versi, definisce la nostra “alma terra natia” - il sui generis col. Enrico Grassi è il prefetto (1.7.1929-15.9.1929), l’avv. Giuseppe Turi (28.4.1929-5.1.1939) è il preside dell’Amministrazione provinciale e l’avv.  Giovanni Spartera è il podestà del capoluogo (16.2.1926-9.4.1930).

La scomparsa dell’on. Francesco Rochira
Nei primi giorni, precisamente sabato 3 agosto, la città partecipa, con sentimenti di mesto cordoglio, alla scomparsa dell’on. avv. Francesco Rochira (Fragagnano 1844 - Taranto1929), uno dei vecchi leoni del foro e della politica tarantina, il gran patriarca d’una delle famiglie più in vista e tra le più facoltose della città. L’avv. Rochira lascia inconsolati la moglie Amalia De Maria, i figli Elena, Vittorio, Giulio, Cesare, Alberto, Ubaldo. In quest’ultimi, l’avv. Enrico Frascolla - intervenuto a nome della Commissione reale e degli avvocati e procuratori, con una delle più toccanti orazioni funebri al termine delle esequie - vede un’inestimabile collana di perle e la discendenza profumata di virtù, essendo tutti apprezzati professionisti, nel solco degli ammirevoli ammaestramenti paterni.
Della morte dell’on. Rochira scrivono, tra gli altri, Il “Corriere della Sera”, “Il Giornale d’Italia”, “La Gazzetta del Mezzogiorno” e tutta la stampa locale. La “Voce del Popolo” di Giuseppe Rizzo parla della scomparsa di «un maestro di sapere, di bontà e di rettitudine».

Gli anni dell’esperienza politica
Francesco Rochira è stato deputato per il collegio di Manduria, nella Camera dei deputati, dal 30 novembre 1904 al 29 settembre 1913, nelle XXII e XXIII legislature del regno d’Italia.  Nell’ultima esperienza parlamentare, si è trovato con il collega e amico on. Federico Di Palma (17.1.1869-13.4.1916), eletto nel collegio di Taranto. Di Rochira si ricordano le positive esperienze di consigliere e di assessore comunale in numerose consiliature del capoluogo; la presidenza del consiglio dell’ordine degli avvocati; le ripetute elezioni nel consiglio della provincia di Lecce (comprendente le attuali province di Brindisi e di Taranto), dove a lungo è stimato presidente e dove, in qualche consiliatura, trova la presenza del figlio Vittorio, eletto in altro mandamento.   

La “Voce del Popolo” onora il galantuomo della politica
Nel 1913, nonostante le insistenti sollecitazioni, aveva deciso di non ripresentare la candidatura alla Camera dei deputati, lasciando subentrare, con successo, Giuseppe Grassi.
La “Voce del Popolo”, in tale circostanza, aveva reso merito al «galantuomo di spiccata personalità, che sapeva intendere ed assolvere l’alto mandato affidatogli con decoro, con dignità, con rettitudine, pari alla schietta bontà del suo animo e alla saldezza e integrità del suo carattere».
A distanza d’un anno dal ritiro dalla vita politica, nel giugno del 1914, la “Voce del Popolo” ribadirà che «l’on. Rochira appartiene a quella schiera - purtroppo esigua - di uomini retti, dal carattere integro e dall’intelletto illuminato, che onorano le cariche pubbliche e accrescono decoro al proprio paese».

La festa per il giubileo professionale
È giusto ricordare anche la bella festa, quasi dieci anni prima della sua morte, nella domenica del 21 dicembre 1919, per il giubileo professionale con cui si intendono onorare i suoi 52 anni di attività forense. La cronaca del tempo parla della calorosa presenza di quasi tutti gli avvocati del foro di Taranto intorno al valoroso avvocato «che ha dato alla professione il suo cuore generoso e la sua alta mente, la sua energia fattiva e il suo carattere adamantino». I Consigli professionali (quello dell’Ordine, presieduto dall’avv. Alessandro Criscuolo, e quello di disciplina dei procuratori, presieduto dall’avv. Egidio Carelli) consegnano un’artistica pergamena, squisita fattura dell’artista N. Gigante, con un’epigrafe del solito Criscuolo: «A Francesco Antonio Rochira / Nel giubileo professionale / la Curia dice: / Dignità di toga / virtù di lavoro / nobiltà di studii / rettitudine di vita / Te fecero Maestro. / Per il lustro che mi desti / offro / con augurale animo / che Tu sia / in lungo ordine d’anni / decano venerando».
La pergamena mostra in calce, con caratteri non facilmente leggibili per la ridotta misura, una bella dedica, aggiunta dal Gigante: «Taranto non tanto per le sue naturali bellezze deve andare meritatamente superba e fastosa, ma per il numero di illustri cittadini i quali - poeti, musicisti, scienziati, filosofi, medici, giuristi insigni - tutti furono animo e pensiero, vita e luce della patria loro».  
Francesco Rochira è certamente, in quel numero. È tra loro!
Cosi, al termine di novanta anni fa, andava Taranto, con altre storie di uomini e con altre speranze!
Guglielmo Matichecchia
Socio Ordinario
Società di Storia Patria per la Puglia

(Guglielmo Matichecchia, Rochira, leone del foro e della politica, in “Buonasera Taranto”, Anno XXVII, 3 agosto 2019, n. 176, p. 10)


giovedì 11 gennaio 2018

PREMIO KOINE' 2017 A GUGLIELMO MATICHECCHIA

L'invito al concerto e al conferimento del premio
"Il premio si dà, 
non a compenso di fatica, 
ma a ricognizione di merito"
(Niccolò Tommaseo)

Nella serata del 20 novembre 2017, organizzata dall’Associazione Koinè culturale Giuseppe Battista e dal locale Lions Club, ha avuto luogo, nella chiesa “San Francesco di Paola” dell’Ordine dei Minimi di Grottaglie, il conferimento del premio Koinè 2017 a Guglielmo Matichecchia per l’impegno educativo, culturale e sociale.
Guglielmo Matichecchia
Nelle precedenti edizioni, il premio è stato assegnato all’on. Alfredo Mantovano, politico e magistrato salentino, a don Cosimo Occhibianco, glottologo e scrittore grottagliese, a Raffaele Nigro, scrittore e giornalista televisivo, a mons. Salvatore Ligorio, arcivescovo di Potenza.
La manifestazione ha avuto inizio con il saluto della rappresentante dell’Amministrazione comunale di Grottaglie, l’ass. Marianna Annicchiarico. Sono seguiti gli interventi del dott. Roberto Burano Spagnulo, presidente dell’Associazione culturale, del prof. Pierpaolo De Padova, presidente del Lions Club di Grottaglie.
Dopo aver apprezzato, nel clima delle tradizioni natalizie, l’esecuzione di brani di musica classica e moderna da parte del soprano Roberta Pagano, accompagnata dal pianista Giuseppe Riccio, il prof. Rosario Quaranta, già dirigente scolastico della scuola secondaria di primo grado “G. Pignatelli” di Grottaglie e segretario della Sezione di Taranto della Società di Storia Patria, ha illustrato le motivazioni adottate per il conferimento del premio. Il prof. Vincenzo De Filippis, rinomato artista e già dirigente scolastico dell’istituto d’Arte “Vincenzo Calò” di Grottaglie, autore di una pregevole terracotta consegnata al premiato, ha evidenziato le caratteristiche artistiche dell’opera realizzata.
La lieta serata ha avuto termine con il sentito ringraziamento del premiato.

LA MOTIVAZIONE DEL PREMIO
“Nel suo più che quarantennale ed esemplare servizio svolto nella Scuola Italiana e, in particolare negli anni scolastici 2004 - 2013, come indimenticabile Dirigente Scolastico del Liceo Classico e Scientifico “G. Moscati” di Grottaglie, il dott. prof. Guglielmo Matichecchia si è distinto per le elevate qualità intellettuali e morali, la profonda cultura e l’alto senso dello Stato.
La pergamena con la motivazione del premio
Ha sempre svolto ogni incarico che gli è stato affidato, con scrupolosa cura, comprovata competenza, alta professionalità, singolare abnegazione, eccezionali doti umane e manageriali, spiccato senso di responsabilità.
Ha fatto del suo lavoro e della sua vita un apostolato al servizio della Scuola Italiana e, in particolare, del territorio, delle famiglie e degli alunni. A favore di questi ultimi, tra non poche difficoltà, si è prodigato, insieme ai docenti e al personale scolastico, per offrire una formazione umana e culturale di riconosciuta qualità, favorendo fattivamente il loro inserimento - da uomini e da cittadini - nella società civile e nel mondo del lavoro. Ha fatto apprezzare il liceo “Moscati”, anche in virtù dei nuovi indirizzi di studio di cui è stato arricchito e della proficua integrazione tra attività curricolari ed extracurricolari, quale polo formativo di eccellenza, in ambito locale, regionale e nazionale.
Ha sempre operato, con previdente lungimiranza,  in coerenza con l’idea della scuola dell’innovazione, al pieno servizio della persona e della comunità, convinto della necessità di un sistema formativo integrato in cui in cui la scuola, la famiglia, gli enti locali, il mondo dell’associazionismo e del volontariato contribuiscono, con pari dignità e con le rispettive competenze, alla realizzazione d’un condiviso progetto educativo in grado di valorizzare, con una molteplicità di linguaggi non sclerotizzati, le grandi potenzialità dei giovani di oggi. Ha contribuito e contribuisce ancora concretamente - con studi, ricerche e apprezzate pubblicazioni di storia locale sulla città di Grottaglie - a promuovere l’amore per la cultura e per la vita. 
Un riconoscimento, quindi, al dott. prof. Guglielmo Matichecchia, per la sua vita che onora la scuola, la cultura, la comunità di Grottaglie, dove la sua esperienza professionale e umana rimane prezioso riferimento per costruire una scuola e una società sempre migliori”.




Nella foto da sinistra: Pierpaolo De Padova, Vincenzo De Filippis, Giuseppe Riccio, Guglielmo Matichecchia, Roberta Pagano, Marianna Annicchiarico, Roberto Burano Spagnulo, Rosario Quaranta.

lunedì 29 maggio 2017

Sentimenti e ricordi
in un viaggio d'amore

Prefazione alla silloge di poesie e di racconti, Viaggio..., di Rocco Pipino


Chi ha viaggiato conosce molte cose,
chi ha molta esperienza parlerà con intelligenza.
….
chi ha viaggiato ha accresciuto l’accortezza.
Ho visto molte cose nei miei viaggi;
il mio sapere è più che le mie parole.
(Sir. 34.9-11) 

Rocco Pipino adotta la metafora del viaggio per proporre la sua bella raccolta di poesie e di racconti. Non è il viaggio della baudelairiana evasione dall’io, né il viaggio freudiano alla ricerca delle pulsioni dell’inconscio, né il viaggio ermetico dell’io ungarettiano, né il carroliano viaggio immaginario in un tempo e in uno spazio deformati, né l’allegorico viaggio gulliveriano, né il viaggio dello sventurato esule che non toccherà più le sacre sponde della patria, né dell’eroe omerico alla conquista dell’ignoto, né del nomade in balia del viaggio, né…
È il viaggio della vita, «sequenza di gioie e di dolori», attraverso anni intensamente vissuti, profonde riflessioni, sentimenti caldi e profondi, con una cristallina sensibilità illuminata dai perenni valori della migliore umanità di sempre.
È il Viaggio… nei sentimenti e nei ricordi, l’itinerario del cuore e della mente da percorrere sulle gambe vigorose della poesia e della prosa biografica, privilegiando la prima per percorrere più speditamente gli intimi sentieri, documentare le profonde emozioni e «cantar l’inno alla vita».  Sono poesie e racconti custoditi nel diario di bordo del personale "viaggio" da «un agreste borgo di Basilicata» alla città bimare di Taranto. Non prevale il desiderio del ritorno nostalgico, il rimpianto di un passato da rincorrere; si può apprezzare l’"accortezza" dell’esperienza accumulata, degli affetti vissuti, dei pensieri di vita da affidare alla memoria, al cuore e alla cura delle persone più care, tra le quali, soprattutto, i diletti nipoti Alessia, Angelo Paolo e Gaia.
Rocco Pipino sa che i beni materiali non sono duraturi quanto i sentimenti e, attraverso i suoi versi e i suoi racconti, intende consegnare a chi lo seguirà nella vita «il lascito dell’animo mio», affinché «resti per il futuro in testimonianza perenne» (Is, 30.8).  In quel lascito è evidente che Rocco vuole sconfiggere e andare oltre il limite del tempo, continuare il viaggio, realizzare «il sogno della continuità dell’esistenza», restare vivo per sempre attraverso la poesia, il linguaggio della bellezza, il più delicato e più resistente ad ogni usura e chiusura. 
Pipino ricerca, attraverso il suo accorato poetare pensante, il paesaggio dell’essere, il calore e il colore dell’espressione, del suono, del contenuto, per l’immediatezza dei sentimenti che si amplificano in virtù della parola cesellata nella scioltezza del verso.
La famiglia è l’orizzonte della vita e della poesia di Rocco Pipino; è un valore sacro, la mazziniana "patria del cuore", il pilastro su cui costruire l’esistenza, il santuario della vita, la comunità dell’amore più grande, il prezioso patrimonio degli affetti, la porta dell’apertura al prossimo e al bene comune, «è cammino di generazioni che  - come ha affermato Papa Francesco nel suo messaggio di saluto ai partecipanti alla 47a settimana sociale dei cattolici - si trasmettono la fede insieme con i valori morali fondamentali».
Nella famiglia e in questo Viaggio… c’è l’amore del devoto marito, dell’affettuoso padre di Carmela, Teresa, Valeria e dell’amorevole nonno. Una delle sue prime poesie, infatti, è Penso a voi, dedicata ai nipoti, «creature della prole mia», in cui confessa che «istante non trascorre / che la mente / non rivolge a voi / il suo pensiero». Pensiero che, direbbe Kahil Gibran, è la pietra d’inciampo della poesia del nostro autore, il quale dà voce al suo cuore con la bellezza della parola che emoziona, commuove, vibra, intenerisce, fissa momenti e sentimenti in un tempo che sa coniugare la memoria e la speranza.
Nei versi composti «per diletto», quasi tutti pubblicati nel "Corriere del Giorno", si celebrano la nascita, l’onomastico, i compleanni, il battesimo, la prima comunione, la cresima dei nipoti, la rinnovata proclamazione d’amore verso la moglie Rosa, accanto alla quale «notti e dì passai, / remando insieme / contro i marosi della vita», il dolce ricordo dei genitori dediti «alla sudata / fatica della sacra terra», della madre Maria Carmela in cui ancora «rifugio certo trovo», del fratello Domenico prematuramente scomparso. Alle imperdibili "pillole" in cui racchiude la sua vita, Rocco Pipino aggiunge brevi e commoventi passaggi sugli anni vissuti nell’amara terra di Pisticci, nella natale casa "cannizzata", facendo tesoro di tracce di storia orale, retaggio della povera società contadina senza scrittura, di cui è protagonista il genitore Vincenzo, soprannominato dai compaesani "il maggiore" per i gradi di caporal maggiore meritati durante il servizio militare. Il padre racconta l’incontro con il fratello nella trincea accanto durante la prima guerra mondiale e come, nello stesso conflitto, abbia visto spirare tra le sue braccia il comandante del suo plotone e come abbia imparato a leggere, scrivere e far di conto, realizzando il sogno di vincere l’emarginante analfabetismo.
La famiglia di Pipino include lo spazio del consorzio umano, a cui l’autore propone il suo «anelito di pace», «che apre il cuore e la mente / alla speranza dell’umana gente», affidando ai giovani il compito di  «liberar l’Italica terra / dalle sue piaghe / e dalle mille contraddizioni», sentendo il bisogno di accogliere i fratelli immigrati e di tenere presente l’alto Magistero e il carisma di Giovanni Paolo II insieme alla caritatevole spiritualità di Madre Teresa di Calcutta.
L’autore dedica una poesia (Incontro) e due racconti (Frammento di vita in terra jonica e Incontro con gli ex alunni) alla sua lunga e onorata attività professionale di maestro nella scuola elementare. Chi conosce bene Rocco Pipino sa che non c’è alcuna dicotomia tra il docente e il genitore, perché egli sa ben coniugare e testimoniare saggiamente la responsabilità e l’amore di chi è maestro nella famiglia e padre nella scuola.
Le poesie e i racconti non sono un ventaglio di sentimenti sparsi e di ricordi confusi; vanno considerati, nel loro insieme, come una visione di ampio respiro della famiglia, del mondo, della universale fraternità, che non è necessariamente da trovare in enciclopedici trattati specialistici, ma più semplicemente, come nel nostro caso, nel fiore della poesia, della parola che dà luce e calore.
Sono poesie e racconti che vanno oltre i confini in cui sono nati per consentire a tutti di incontrarsi e di riconoscersi, con l’"accortezza" di parole di vita, in una umanità più bella e più grande.

Federico Di Palma. La Patria e il Mare:
un commento di Vittorio De Marco

Vittorio De Marco
Vittorio De Marco, ordinario di Storia Contemporanea dell'Università del Salento di Lecce, curatore della Prefazione del saggio su Federico Di Palma, ha svolto la seguente relazione il 9 febbraio 2017, nel corso della presentazione del volume nella sala consiliare del Comune di San Giorgio Jonico.

Le mie riflessioni su questo lavoro di Guglielmo Matichecchia le ho esternate, per così dire, nella prefazione, a cui rimando per quella che è la mia visione generale del libro. Ho avuto la possibilità di seguire per diversi tratti questa ricerca del preside Matichecchia, dell’amico Guglielmo; me ne fece subito partecipe, distraendo la sua attenzione, momentaneamente, da un’altra ricerca che aveva in corso, non meno interessante, anche se di taglio socio-antropologico e legata anche alla “storia della mentalità” oltre che del costume, di cui però non anticipo nulla.
Ci siamo incontrati diverse volte, mi ha fatto leggere i diversi passaggi dell’opera, man mano che questa prendeva corpo; abbiamo discusso di alcuni aspetti, ed ho potuto sempre rilevare la particolare passione e competenza con le quali ha ricostruito la figura del giornalista, del politico, del parlamentare.
Il filone biografico nell'armamentario metodologico di uno storico è uno dei più complessi, perché l’oggetto della ricerca non riguarda un singolo avvenimento; la biografia dovendosi stendere nel lungo periodo, implica continuamente la necessità di contestualizzare le azioni del personaggio, cogliendo aspetti e tensioni di carattere generale che emergono nel tempo sia a livello locale che nazionale e, in questo nostro caso, anche europeo. È sostanzialmente sulla contestualizzazione che si misura la bravura e la capacità metodologica, riflessiva e operativa, direi, di chi si cimenta in un lavoro biografico.
E nell'alveo delle biografie, quelle di carattere politico, risultano essere in genere più complesse di quelle di altro carattere – letterario, religioso, artistico – perché l’agguato ideologico è sempre dietro l’angolo. Quanti lavori biografici sono stati sciupati perché l’autore si è completamente appiattito sul dato ideologico e partendo da quello ha ricostruito la vita del personaggio e il contesto relativo, tutto piegando  e tutto interpretando da un punto di vista ideologico; vi è un vero e  proprio cimitero di queste biografie, soprattutto in Italia dove gli aspetti ideologici, in particolare nel secondo dopoguerra, sono stati forti e condizionanti l’attività scientifica di molti storici.
Le biografie, poi, se ben strutturate e contestualizzate, diventano a loro volta collettori di notizie, sedi di nodi problematici della storia che si riflettono nel personaggio e intorno al personaggio oggetto di studio e quindi nello stesso tempo, aprono altre prospettive di ricerca per se stessi ma soprattutto per altri ricercatori, sollecitano nuove interpretazioni di passaggi nodali della storia locale e nazionale, spingono ad aprire nuovi sentieri di approfondimento; in altre parole spingono la ricerca storica in avanti, arricchiscono le problematiche storiografiche, diventano punti di riferimento, modelli interpretativi e metodologici di cui si deve tener conto.
Bene, mi sembra che in questo denso lavoro biografico del preside Matichecchia su Federico di Palma siano presenti gli aspetti positivi che ho prima abbozzato, perché offre diversi spunti e sollecitazioni:
 a) innanzitutto una di carattere generale, che ho già sottolineato nella prefazione: ci troviamo di fronte ad un modello metodologico utile per chi volesse approfondire le biografie politiche di altri deputati e senatori della provincia, proprio per il respiro nazionale che questa biografia offre non chiudendo il personaggio nell'angusta o più che angusta, direi insufficiente cornice locale. E credo che sia la prima esauriente biografia di un politico del nostro territorio; anche per alcuni altri ci sono accenni, veloci profili nei repertori biografici, ma manca quella costruzione strutturale, se così posso dire, che il preside Matichecchia ha offerto con questo libro su Federico Di Palma.
 b) la lettura di questo libro e le vicende elettorali di cui Di Palma fu protagonista e coprotagonista dal 1901 al 1913, dovrebbe spingere ad approfondire con una specifica ricerca quello che è stato negli anni giolittiani il comportamento elettorale nei vari collegi del Salento, perché un’analitica ricerca sul comportamento elettorale offrirebbe nuove chiavi di lettura delle vicende politiche e amministrative del territorio nel  passaggio tra Ottocento e Novecento, in quella più generale fase di stabilizzazione socio-politica della giovane Italia liberale postunitaria; un lavoro sul comportamento elettorale che potrebbe essere poi proiettato anche sul secondo dopoguerra;
c) altra pista di approfondimento che sollecita questa biografia riguarda le condizioni economiche generali del territorio con le relative urgenze ed emergenze – e Di Palma di questi aspetti economici ne parla molto e come giornalista e come parlamentare – con nuovi dati più specifici e aggiornati sul mondo dell’agricoltura locale e su quelle che potevano apparire allora piccole parvenze di realtà industriali, magari solo di trasformazione, lasciando da parte arsenale e futuri cantieri navali perché realtà importate. Un approfondimento delle capacità o meno del territorio di esprimere una economia seppure agricola che potesse avere in sé autonome potenzialità di sviluppo; statistiche precise attraverso i repertori di allora e di pari passo un approfondimento sulla realtà della cooperazione che a Taranto e nel circondario muove i primi passi proprio nell'ultimo ventennio dell’Ottocento, con timide espansioni numeriche fino allo scoppio della prima guerra mondiale e dove molto materiale documentario si può trovare nell'archivio della cancelleria del tribunale di Taranto;
d) la ricerca del preside Matichecchia spinge anche ad una rilettura aggiornata del complesso rapporto tra la marina militare e il territorio, ma soprattutto sollecita un approfondimento dell’attività di carattere mercantile di quei decenni, anche qui aiutati dalle statistiche del ministero dell’industria e di quello della marina militare e mercantile del tempo, arrivando anche alle soglie del secondo dopoguerra. Da questo punto di vista il lettore si renderà conto della passione e competenza con le quali Di Palma giornalista prima e deputato poi, affronta i problemi legati alla marina militare, al potenziamento dell’arsenale, che a Taranto è la massima espressione di questa presenza dello Stato attraverso la marina, ma anche l’attenzione che pone alla marina mercantile; se c’è una storia militare di Taranto già scritta negli anni Trenta, manca una storia del commercio di/a Taranto, un commercio più solido  che doveva passare proprio attraverso un potenziamento della marina mercantile;
e) questo libro spinge anche a riflettere non poco sul rapporto giornali-territorio, per tutti i condizionamenti che già allora la carta stampata riusciva a determinare sui giochi politici nelle elezioni amministrative e politiche; non possiamo più fermarci a quella ricerca di Giovanni Acquaviva, benemerita allora ma ormai insufficiente da un punto di vista metodologico, della storia dei giornali a Taranto  (“Un secolo di giornali a Taranto”) pubblicata nel 1982. Proprio questa biografia di Matichecchia su Di Palma, stimola ad esaminare più a fondo quest’altro aspetto della nostra storia patria in quel denso periodo di lotte e passioni elettorali che coincidono con l’avventura politica di Di Palma nell'età giolittiana,  dove non è solo la Voce del Popolo – che pure ha una parte preponderante – a giocare un ruolo di freno o di affermazioni di personaggi politici o ad influenzarne le scelte elettorali; c’è tutto un brulichio di fogli periodici in tutto il Salento che hanno bisogno di uno studio analitico per meglio comprendere le dinamiche politiche ed elettorali del tempo, gli argomenti più trattati, le problematiche affrontate, prima che il fascismo appiattisca tutto in una sorta di monotonia concettuale;
f) questo libro, ancora, sollecita ad indagare sul rapporto tra  poteri nazionali e locali che condizionano la vita del circondario riprendendo in mano le relazioni dei prefetti di Lecce e della sottoprefettura di Taranto, i personaggi che si sono avvicendati in quei posti, i rapporti con la vicina ingombrante provincia di Bari, per cercare di meglio capire ciò che alla fine, ci spettava dallo Stato e magari non ci fu dato, quello che potevamo ottenere con le forze politiche in campo, quello che si riusciva a esprimere come forza contrattuale nei confronti di Lecce e di Bari;  il libro ci dice tra l’altro come Federico Di Palma su tutti questi aspetti cercò di aprire dei varchi e di sensibilizzare l’opinione pubblica locale e i poteri romani;
g) questo libro spinge a riflettere sul peso politico del mondo cattolico nelle competizioni elettorali amministrative e soprattutto politiche del 1909 e del 1913, dove di Palma ha la sua parte, qui esaustivamente illustrata, ma dove bisogna tenere conto che diverse realtà locali, esprimevano preti e laici cattolici di un certo livello che si esponevano ben oltre le proibizioni dei vescovi e della stessa Santa Sede, e che impigliati negli equilibri familiari e nelle simpatie politiche che queste famiglie della borghesia esprimevano nei confronti del notabilato locale, votavano e facevano votare alle elezioni politiche anche prima che Roma allentasse la proibizione di partecipare alle elezioni negli appuntamenti elettorali del 1904, 1909 e soprattutto 1913; c’è stata in sostanza una disobbedienza canonica diffusa e recidiva, perché gli stessi preti che poi chiedevano alla Penitenzieria apostolica il condono della pena canonica per essere andati a votare tornavano a farlo nelle successive competizioni; ci sono tracce vistose sia negli archivi ecclesiastici locali sia nell'Archivio Segreto Vaticano come io stesso anni fa ho direttamente sperimentato;
h) e ancora questo libro sollecita un approfondimento di tutti gli aspetti economici, politici, sociali e antropologici legati alla prima guerra mondiale sul nostro territorio anche perché siamo ancora immersi nel lungo centenario della grande guerra.
 Ecco, questo è un potenziale spettro di ricerche che il lavoro del preside Matichecchia suggerisce e non è poco; con questo libro ha scritto, come ho sottolineato nella prefazione, una pagina intensa della storia di Taranto e del suo circondario tra Otto e Novecento.
Sulla vicenda personale di Di Palma vorrei brevissimamente mettere in evidenza tre aspetti: 1) la sua comprensione della geopolitica del tempo; 2) la capacità di leggere le emergenze del territorio; 3) alcuni progetti “ardimentosi”.
Nell'agone politico internazionale l’attenzione del Di Palma si appuntò sull'alleanza tra Roma e Vienna e Berlino, sulla Triplice Alleanza che se quando fu stipulata, nel 1882, in qualche modo risultava essere utile all'Italia per immettersi con più sicurezza e prestigio nel circuito internazionale e per liberarsi al contempo di una certa tutela e atteggiamento paternalistico della Francai nei suoi confronti, agli inizi del ‘900, con alleanze che si cucivano e scucivano, con un imperialismo diffuso che scombinava continuamente gli equilibri europei, balcanici, dell’Africa settentrionale e relative colonie e protettorati, per di Palma, quella alleanza risultava essere più pericolosa che utile all'Italia.
Egli pur essendo un deputato filogovernativo, la critica dai banchi parlamentari, senza tanti veli e schermi diplomatici, soprattutto a partire dal 1909. Era convinto che nell'Adriatico si doveva prima o poi definire e consumare quella rivalità secolare, che la reciproca riserva mentale era alimentata dalla reciproca cultura del sospetto, che vi era una ostilità carsica che il manto dell’alleanza non aveva certo sopito né risolto, anche perché i confini orientali italiani non erano affatto del tutto definiti.
Nel suo modo di vedere e valutare le cose era chiaro che l’alleanza con l’Austria-Ungheria si stava svuotando di contenuti e l‘opinione pubblica italiana sarebbe stata pronta anche nel 1911 ad uno sganciamento indolore dalla Triplice Alleanza, che gli equilibri geopolitici allontanavano sempre più le due nazioni da eventuali mire convergenti.
Se si fosse salvato il suo archivio forse avremmo capito meglio se questo suo atteggiamento critico verso il formale alleato dell’Italia era una sua solitaria presa di posizione, ovvero questa era stata in qualche modo concertata col governo, se cioè Di Palma e qualcun altro deputato erano stati mandati in avanscoperta per saggiare la reazione dell’Austria di fronte ad un eventuale sganciamento dell’Italia da quella alleanza.
Io penso che siamo in questa seconda ipotesi e forse un sondaggio, non certo facile, nell'archivio del ministero degli esteri o nelle carte Giolitti potrebbe fornirci una qualche risposta ovvero, sarebbe interessante consultare l’archivio del ministero degli esteri di Vienna per capire se l’ambasciatore austriaco in Italia tra il 1909 e il 1911 commentò o meno queste affermazioni che provenivano dai banchi del parlamento italiano. Anche da questo punto di vista, il libro su Di Palma sollecita un’altra interessante pista di ricerca e di approfondimento.
 L’altro aspetto che si può sottolineare è la sua capacità di leggere le emergenze del territorio e di lavorare prima come giornalista per sensibilizzare l’opinione pubblica locale e romana e poi come deputato per agire nei consessi romani a favore di queste emergenze:
1) un rafforzamento concreto dell’Arsenale militare che stentava a decollare per una certa distrazione degli ambienti romani, che avrebbe avuto ricadute positive sui livelli occupazionali di tutto il circondario di Taranto e oltre;
2) una soluzione soddisfacente per il porto mercantile che avrebbe anch’esso significato un ritorno di benessere economico per il territorio;
3) una presenza qualificata a Taranto dell’aeronautica militare;
4) un ampliamento della rete ferroviaria che avrebbe doppiamente servito cittadini e commesse commerciali;
5) una legge per il Mar Piccolo che paradossalmente dopo il tramonto delle “peschiere”, quel sistema privatistico di sfruttamento che aveva retto l’economia di questo mare dal medioevo all'unità d’Italia, proprio nel momento della sua liberalizzazione stenta a trovare nelle soluzioni locali e nazionali una sistemazione economica e gestionale efficiente e produttiva.
In tutto questo groviglio di problemi lo aiutò la precedente esperienza giornalistica nel modello di comunicazione in quella non facile azione di captare l’interesse non solo degli enti locali del tempo, ma di quelli romani sui vari problemi del circondario di Taranto e la lettura di questo libro ce ne rende pienamente edotti.
 Infine qualche proposta “ardimentosa”. La difesa del Paese passava necessariamente anche da Taranto e per questo avanzò, in momenti diversi, la proposta di due progetti che rispondevano ai suoi occhi alle esigenze di razionalizzazione delle forze militari e delle strategie di intervento in una eventuale guerra: il primo progetto si riferiva alla costruzione di un canale navigabile da Taranto a Brindisi, dallo Jonio all'Adriatico, in modo da poter trasferire rapidamente parte della flotta da un mare all'altro, in caso di guerra con l’Austria o per un più stretto controllo del Canale d’Otranto; il secondo prevedeva una specie di uscita di emergenza della flotta dal mar piccolo per evitare l’imbottigliamento nei due seni se il ponte girevole fosse stato attaccato, suggerendo un secondo canale a Porta Napoli.
Questo secondo progetto verrà ripreso in tutta segretezza, all'insaputa della città, dalla marina militare nel 1936 e in piena guerra nel 1942. Quando frequentavo con più assiduità l’archivio centrale dello stato a Roma, mi imbattei nel fondo del Gabinetto della Marina Militare in un grosso faldone ancora intonso, mai aperto, dove sostanzialmente ho ritrovato, ripresa dai vertici della marina militare, l’idea di Di Palma di un secondo canale navigabile nella città vecchia, con foto di plastici e disegni. Quindi qualcuno forse non aveva dimenticato il progetto che il nostro deputato aveva suggerito a suo tempo.
 Per altre suggestioni rimando come detto all'inizio alle pagine della prefazione. Scorrono in questo libro pagine di una storia solo apparentemente lontana nel tempo, perché, pure presenti con altre dimensioni e caratteristiche, alcuni dei mali allora denunciati da Di Palma serpeggiano ancora nelle nostre contrade, nei nostri orizzonti locali, turbando e interrogando la coscienza di chi ha una coscienza, nella speranza che si possano in qualche modo prima o poi risolvere. 

lunedì 1 maggio 2017

FEDERICO DI PALMA: LA PATRIA E IL MARE:
VIDEO DI PRESENTAZIONE

Il video della durata di 4 minuti e 15 secondi presenta brevemente la figura di Federico Di Palma, come illustrata dall'autore del saggio, pubblicato per i tipi della Scorpione Editrice di Taranto.
Interventi di: Guglielmo Matichecchia, Piero Massafra, Vittorio De Marco, Alberto Altamura, Matteo Pizzigallo, Rocco Maggi, Roberto Burano, Paolo De Stefano.

FEDERICO DI PALMA - LA PATRIA E IL MARE:
PRESENTAZIONE A MASSAFRA