martedì 17 marzo 2020

La peste bubbonica nella Taranto del dopoguerra


Il coronavirus fa rivivere dolorose esperienze del passato che si ritenevano improponibili per le migliorate condizioni di vita di oggi e per i progressi della medicina, ritenuta capace di poter debellare ogni virus vecchio o nuovo che voglia minacciare la salute delle popolazioni.
La memoria storica va all'anno 1945, all'indomani della conclusione del conflitto mondiale e della liberazione del'Italia dal fascismo, quando nel mese di settembre esplodono, in Taranto, in prevalenza tra gli operai delle officine dellarsenale marittimo, alcuni casi di peste bubbonica.

Ancora non sopiti leco lacerante delle sirene antiaeree e lacuto sibilo delle bombe, ancora non asciugate le amare lacrime per i tanti morti in una guerra funesta, scatta un nuovo e inatteso allarme in una città che muove i primi passi del post-fascismo per ripristinare valori ed esperienze di libertà e di democrazia.
Il timore dellepidemia mette alla prova la nuova classe dirigente: il socialista Ciro Drago alla guida della giunta municipale, il democristiano Alfredo Fighera alla presidenza dellAmministrazione provinciale e Giuseppe Festa alla responsabilità della prefettura. Lo stesso governo nazionale, presieduto da Ferruccio Parri - che non ha un ministero della Salute, ma quello dellAlimentazione con laventiniano Enrico Molè - segue, con la giusta attenzione, levolversi del focolaio nel territorio tarantino.
Da unimmediata indagine sanitaria, disposta dalle autorità militari e civili ed eseguita dagli esperti dellAlto commissariato per ligiene e la sanità, scaturisce: la presenza di topi portatori della morte nera nelle balle di cotone e di stracci, scaricate da un mercantile inglese proveniente da Malta; la morte dun marinaio dellequipaggio senza dichiarare la causa alle autorità italiane.  Si adottano immediatamente le prime misure durgenza per circoscrivere il focolaio. I contagiati sono confinati nel lazzaretto comunale diretto dal dott. Arturo Gentile, i familiari in contumacia; si dispongono disinfestazioni e vaccinazioni per quanto possibile.
Si vietano le riunioni pubbliche e tutte le manifestazioni, si chiudono le chiese e i luoghi dincontro, si sospende il servizio tranviario. Pur evitando ogni possibile pubblicizzazione, la notizia trapela in città che non resta indifferente. Si respira unaria greve, di comprensibile preoccupazione; le vie non sono particolarmente affollate; si vogliono evitare contatti che possano essere contagiosi e pericolosi per la salute.
Dal 3 al 23 settembre si contano 23 casi, di cui 11 mortali. Si pensa che il peggio sia passato, ma fra il 22 e il 29 ottobre si aggiungono altri 3 casi letali. Nel mese di novembre si registrano due casi, di cui uno mortale, le autorità sanitarie ritengono diminuita la forza diffusiva dellinfezione anche se non ritengono la città ancora indenne. La sanità militare della marina italiana è encomiabile per la competenza e limpegno dei suoi ufficiali - specificatamente Umberto Monteduro, Giuseppe Barbagallo, Alfonso Leone e altri - nel contrasto del morbo, giovandosi della collaborazione degli inglesi. 
Le autorità sanitarie nazionali e locali (con il dott. Ferdinando Martorana, medico provinciale) decidono di organizzare unoffensiva per sterminare i topi, ritenuti il pericolo pubblico numero uno.
Chiamato dallUnited Nations Relief and Rehabilitation Administration (U.N.R.R.A.), unorganizzazione internazionale istituita per assistere economicamente e civilmente i Paesi usciti gravemente danneggiati dalla Seconda guerra mondiale, giunge da Londra il dott. Barnett, uno specialista del Servizio controllo disinfestazioni del ministero dellalimentazione, che vanta, nel suo curriculum, lannientamento in Inghilterra «di qualcosa come otto milioni di topi nel giro di pochi mesi». La lotta contro i ratti è intensificata con un mirato piano studiato dalle autorità sanitarie italiane in accordo con lesperto inglese, che tiene conto della specificità del morbo, della sua diffusione e della situazione igienica del centro abitato. Qui «i rifiuti accumulati nei bidoni generosamente forniti dall'Amministrazione comunale e situati nei vari androni - si denuncia nella Voce - emanano un tanfo insopportabile ed attirano mosche, topi ed insetti in tale quantità da costituire un pericolo per la comunità». Al di là dei topi importati con le balle di cotone e di stracci, si individuano alcune concause nell'eccessivo sovraffollamento della città; nella caldissima estate, seguita ad un inverno freddo e a una primavera ritardata; nella siccità da gennaio ad ottobre, con una durata mai riscontrata nell'ultimo cinquantennio.
Alla cronaca di quei giorni fa qualche cenno lindimenticabile Giacinto Peluso (che fa parte di quella benemerita schiera di studiosi locali, homines virtutis atque ponderis), nella sua Storia di Taranto del 1990, edita dalla Scorpione Editrice di Piero Massafra. Nei primi anni del nuovo Millennio, Giovangualberto Carducci e A. Leone entrano nel merito degli avvenimenti con un saggio pubblicato nella rivista Cenacolo della sezione di Taranto della Società di Storia Patria. A questi si aggiungono articoli di giornali locali e, nel 2002, gli interventi di Alberto Carducci e degli ultranovantenni Barbagallo e Leone, in convegni e incontri di studio sull'argomento.  Non ci sono riscontri, nel 1945, nelle pagine della storica Voce del Popolo, forse per non allarmare ulteriormente la popolazione duramente provata dalla dittatura del ventennio fascista e dalla tragedia della guerra. La cittadinanza conosce, però, i  provvedimenti adottati dal prefetto e, nell'edizione del 27 ottobre del giornale diretto da Antonio Rizzo,  si accenna all'esistenza «dei diversi casi di peste verificatisi di recente nella nostra città», riportando la protesta del lettore Sergio Azzollini, che si rivolge pubblicamente al sindaco - dopo alcuni reclami scritti senza risposta - per chiedere una disinfezione in via Pupino, angolo via Di Palma, dove «si notano da tempo numerosi topi evidentemente di fogna».
 Anche in questo caso, come in ogni emergenza con rischi per la salute e la vita, tutto il resto passa in secondo piano e anche a Taranto, come direbbe Camus, la peste «aveva ricoperto ogni cosa: non vi erano più destini individuali, ma una storia collettiva, la peste, e dei sentimenti condivisi da tutti».
La lezione che viene dalla storia è oggi, a maggior ragione, da non dimenticare: si può vincere o perdere quando si è divisi dalla guerra; si può solamente vincere, senza alcuna paura, quando si è uniti senza distinzioni e si lotta fianco a fianco, dalla stessa parte, per il bene di tutti.


Guglielmo Matichecchia
Società di Storia Patria per la Puglia
Socio Ordinario - Sezione di Taranto


Guglielmo Matichecchia, La peste bubbonica nella Taranto del dopoguerra, in “Buonasera Taranto”, Anno XXVIII, 17 marzo 2020, n. 62, p. 15.

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